13 settembre, 2023
03 settembre, 2023
DIALETTO
Premesso che il dialetto di Grado viene da sempre, e quindi anche oggi, correntemente parlato in famiglia e nei rapporti sociali (compresi gli uffici pubblici), per cui si tratta di una parlata che svolge tuttora la sua insostituibile funzione di trasmettitore culturale e delle tradizioni locali, desidererei farne qui, per voi che tra gli altri vostri impegni ve ne occupate e per coloro cui possa interessare, una breve presentazione. Vorrei soprattutto ricordare, ancorché sinteticamente, come questo dialetto, che è vitale per l’Isola d’Oro, si sia in pratica estrinsecato nel secolo appena trascorso, articolandosi in analisi e studi ed esperienze artistiche.
La parlata gradese è stata tenuta a battesimo con un prestigioso saggio da parte di Graziadio Isaia Ascoli alla fine dell’Ottocento, su segnalazione del professore gradese Sebastiano Scaramuzza cui si deve sull’argomento un accorato studio giovanile. In seguito all’uscita (1912) di Fiuri de tapo, il primo libro di B. Marin, viene pubblicata da Emilio Mulitsch una sua ricerca fonologica sulla silloge. Nel secolo scorso è anche uscito (1970) uno studio completo del professor Manlio Cortelazzo e un altro parimenti importante (1980) del professor Giuseppe Francescato, cui nello stesso anno si aggiunge una fondamentale ricerca e analisi del professor Giovanni Frau circa i toponimi gradesi del centro abitato e, si badi, della laguna. Le forme del gradese sono state tratteggiate anche da me in un libretto (1983), che affronta in modo "facile" i temi grammaticali nell’inento di renderli maggiormente accessibili. Quindi è uscito ancora un altro lavoro grammaticale (1988) scritto da Ferruccio De Grassi. Ci sono anche un saggio di glossario (1979) e un vocabolario (1995) rispettivamente di L: Deluisa e A. Corbatto. Innumerevoli sono altri saggi e articoli pubblicati.
Sul gradese scritto, soprattutto in poesia, c’è una produzione davvero oceanica. Oltre ai primi documenti in Caprin (1890), il già citato Scaramuzza (versi, prose e traduzioni dal greco) e Domenico Marchesini (anch’egli versi e prose), abbiamo l’astro di Biagio Marin, proposto per il Premio Nobel, che davvero nella sue liriche ha dato dignità di lingua alla nostra parlata dall’inizio alla fine del sec. XX: egli ha consegnato alla storia un vero indelebile monumento alla Poesia e alla graisanità. Inoltre tantissimi sono i cosiddetti "minori", taluni anche da notare come Giovanni Siata, Mauro Marchesan, Salvatore Degrassi, Lucio Degrassi, Edy Tonon, Antonio Zentilin, ecc., mentre il popolo da oltre cinquant’anni, oggi con patrón Aldo Regolin, si organizza un proprio festival della canzone (le migliori della passerella rimangono poi nel patrimonio di tutti e vengono cantate alle feste, come quelle con i testi di Giacomo Zuberti ad esempio, di Mario Pigo e Mario Boemo, di Onorio Dissette, di Enzo Italia e Alberto Camuffo, con tantissimi altri meritevoli di citazione, compresi i musicisti da Attilio Gordini a Dante Marchesan e Nandi Sumann, da Matteo Olivotto a Ferruccio Tognon, da E.A. Martino e Gino Zuliani a Seba). Possiamo oggi anche parlare di un teatro gradese con il binomio Svettini e Giovanni Stiata e con bravissimi attori quali Giglio Boemo e Nevio Scaramuzza. Si pensi che prima della guerra avevamo anche un trovatore, ricordato come Piero Canàro, che inventava lí per lí alla chitarra le sue canzoni e filastrocche; e anche ai nostri tempi vi sono dei veri artisti, autori di testi in gradese doc e musiche pieni di pathos e tragica ironia popolana come Ciano Siego e Tronbài. Ci sono perfino autori non gradesi, che il dialetto lo hanno voluto studiare e poi hanno saputo metterlo ottimamente in pratica, come il triestino Aurelio Ciacchi e il friulano Lelo Cjanton.
Negli ultimi anni la nostra parlata, per la prima volta nella storia, si è volta verso i testi sacri, con la mia traduzione in gradese della S. Messa propria dei Patroni, la cui Sequenza è stata declamata nel nostro Duomo (Basilica di Sant’Eufemia) durante la solenne celebrazione dei Santi martiri Ermacora e Fortunato alla presenza delle autorità cittadine, e del Te Deum, recitato, in simbiosi con il popolo, direttamente dal compianto mons. Silvano Fain, che espressamente mi aveva chiesto di tradurre. Infine, allo scopo di celebrare il Giubileo 2000 ricordando il monsignore scomparso e salutando l’ingresso a Grado del nuovo Arciprete mons. Armando Zorzin, è da poco uscito un libro con la traduzione in gradese del Vangelo di San Marco, pure da me curata. Anche brani del vangelo in gradese sono stati letti in Duomo durante solenni e appropriate funzioni. Mi è inoltre assai gradito poter qui annunciare che sto lavorando da anni su tre diversi progetti riguardanti il nostro dialetto e la sua genesi: ciò per sottolineare che c’è sempre qualcuno a Grado che vuole fare qualcosa affinché non vada perduto nel tempo questo atavico tesoro della gente.
A conclusione vorrei dire che, ancorché non si possa parlare di una vera e propria lingua formalmente riconosciuta, siamo tuttavia sulla buona strada, visti anche i presupposti qui pur brevemente enumerati. Sicuramente ci troviamo di fronte a un dialetto con caratteri originali suoi propri, distinti da quelli del circondario e parlato in un territorio assai ben delimitato.