Grado, interno spiaggia.
I turisti nordici, sulla battigia, con il loro improbabile abbigliamento (calzoncini corti, sandali e calzini, oppure pantaloni di tela lunghi ma arrotolati per mettere i piedi in acqua), guardano perplessi un mare che sentono più vicino al loro: perché è ancora caldo, sì, ma ingrigito, con una punta di broncio: meno Mediterraneo e più simile a quello che conoscono, insomma quasi familiare.
Le ragazze, stese sui lettini, rabbrividiscono un poco alla brezza, si raggomitolano nell’asciugamano, decise però a resistere fino all’ultimo, come soldati che non si arrendono nella terribile battaglia della tintarella.
Si spiano poi, raffrontandosi con le amiche, le more soddisfatte e tronfie, le bionde deluse che anche quest’anno non ce la faranno a superare il loro limite epidermico, perché ormai il tempo è passato e l’abbronzatura non sarà più scura di così.
I morosi adolescenti si baciano, avvinghiati sulle sdraio, ma con meno foga di quella che avevano solo poche settimane fa, perché sono giovani, la vita è lunga, l’estate breve, e il grande amore che è lì accanto sembra già qualcosa di passato, una foto sbiadita per l’album dei ricordi.
Sul viale, fra le vecchiette che prendono il gelato al nipotino e per sé ordinano uno spritz, si segna il rito di passaggio, il momento di svolta in cui la spiaggia viene abbandonata dalle torme di famigliole e di ragazzini patiti di abbronzatura.
Intanto, comincia l’esodo dalle capanne, che è cosa lunga ed intricata, un vero trasloco, perché in tre mesi la quantità di cianfrusaglie che si sono ammonticchiate è impressionante, non ha fine, pare che si riproducano per clonazione.
E così, piano piano, ogni sera, le nonne e le mamme e, in rafforzo, quando tocca, i bimbi ed i papà carichi di sporte rigurgitanti giocattoli, gommoni, materassini, ceste di costumi da lavare prima di essere risposti, stoviglie di plastica e paccottiglia varia, che migra dalla spiaggia alla soffitta di casa, dove passerà l’inverno.
E tutti passano sul viale, mentre gli alberghi guardano tutto quel via vai, perchè lo vedono da sempre, e lo vedranno ancora, e non se ne lasciano sfiorare, perché Grado è abituata alle onde che passano e poi tornano e poi vanno via, e siano di marea o di gente non fa differenza.
Lei aspetta, le guarda e resta là.
E' l'autunno, che bellezza, tempo di riposo.
“ La stazòn “
RispondiElimina‘Nte’l pien de la stazòn, co’ miera de turisti,
zè duto un lavorà pe’ alberghi e negossianti:
un còre, un vènde, un ciapà soldi a moco
’chè la stazòn zè curta e no’ la dura
se ghèta piova, un temporal o siroco.
E ‘lora, comò ‘l pesse, a miera i ciàpa i siuri:
cù co’ le nasse, cù ‘l parangal o la vata
comò che i pescauri fora in mar i se presta,
che a quisti ciapi de turisti,
al fine de la zornà, in taquin ben poco i resta.
Cussì passagia Pasqua, Pentecoste, la Madona
e ‘rivai a i foghi co’l tempo senpre belo,
siguro duti de solduni ‘npignio i varà ‘l sovo burcelo.
E duti i zè cuntinti, zè duti co’ i surìsi…
ma al fin de la stazòn de ‘sti tesori ‘cumulai
può no’ se sà comò ch’ i vignarà spìsi:
se mundi in parsimonia o duti in do o tre misi !
da Lanpi d’Istae
di: Aldo Tognon 2011 ©