23 febbraio, 2023

UN GRANDE CANTANTE DI GRADO- LUCIANO FACCHINETTI

Ho ricevuto e posto questa biografia di un personaggio caro a tutti noi graisani, un uomo semplice, grande musicista e di una simpatia a tutta pelle, Luciano Siego.


  1. Luciano Facchinetti Siego, o Ciano per gli amici, é un vispo signore verso i sessant’ anni ancora arzillo, con un piglio giovanile ed a tratti fanciullesco; si vede spesso girare in bicicletta senza fretta o, senza mollarla, con un piede a terra per reggersi e chiaccherare a lungo con gli amici, o portando a spasso il nipotino sulla stanga. Non molto alto, in forma, capigliatura nera sempre piú brizzolata, lo riconosci per i baffoni, neri come gli occhi vivaci, naso grosso. Se poi hai dei dubbi, ti puoi avvicinare e se ascolti discorsi di musica o di chitarra sei sicuro di averlo trovato. Quando é a spasso ha una grande placiditá, un antico ritmo lento e se ti fermi, non si accontenta di un semplice saluto, se tu hai fretta e lo chiami e gli sventoli solamente la mano passando avanti, vedi nella sua espressione un rammarico. Con l’eta’ e’ diventato un po’ sordo da un’orecchio e quindi e’ meglio parlargli dal lato giusto.


    Fin da quando da piccolo ho messo le labbra sul clarinetto in mi bemolle, detto anche quartino e cominciato a frequentare la banda civica, ho sentito il suo nome che ricorreva spesso nei discorsi fra i suonatori anziani, i grandi, in particolare fra quelli che avevano la fortuna di suonare nell’orchestra del Festival della Canzone Gradese; ne parlavano con rispetto musicale e con simpatia, bastava che qualcuno ne accennasse e le facce diventavano allegre, la risata pronta a partire.

    Avevo partecipato piccolissimo a questa manifestazione nella sezione dei Mamuli, nell’ ex-cinema dov’e’ l’attuale supermercato Europa, con la canzone Canditi la cui musica era stata scritta da Valerio Pastoricchio. Probabilmente Ciano aveva suonato anche quella volta, come sempre, ma avendo solo cinque anni non lo avevo certo notato.


    Da bambino abitava in Borgo de Fora, vicino a Piazza Marin, che allora si chiamava Piazza Vittoria; la sua era una famiglia di modeste condizioni, ma di sicuro le risate non mancavano.

    Il padre, come tanti gradesi passava buona parte della serata in osteria con gli amici ed il piccolo Luciano spesso veniva mandato in missione dalla madre per recuperarlo, un leit-motiv gradese. Un giorno non l’aveva trovato da nessuna parte ed era alquanto preoccupato per la reazione della madre che, man mano passava il tempo e si faceva tardi fumava sempre di piu’ per la rabbia. Alla fine un bussare incerto risuonó dal portone, lei si armó della scopa, aprí di colpo la porta e prese a tirare colpi sulla testa del marito, che pero’ era il povero Monsignore Sebastiano Tognon, passato per la benedizione delle case.


    Con loro viveva anche la nonna, mal messa per gli acciacchi dell’etá, specialmente un mal di schiena che la faceva brontolare di continuo. Un po’ cresciuto Luciano insistette perche’ si facesse vedere da un dottore, ma lei, seraficamente, con la fede che le brillava negli occhi gli rispose che non serviva, gia’ da tempo aveva messo sulla parte dolorante un santino di San Antonio e piu’ di lui chi poteva fare di piú?

    Incuriosito, nottetempo Luciano si avvicino’ silenziosamente al letto della nonna e delicatamente riusci’ ad infilarle una mano sotto il pigiama senza svegliarla ed a recuperare il prodigioso santino. La nonna pero’ si sveglió subito dopo perche’ il nipote non seppe trattenere una risata vedendo che il prodigioso medicamento era in realta’ una figurina del calciatore Sivori!


    Fin da bambino ed in tutta la sua vita c’erano due cose che lo appassionavano: la chitarra ed gli uccellini.

    Passava ore con Mario, il nostro vicino di casa, che aveva riempito il piccolo cortile di voliere, e conosceva tutte le tecniche per catturarli, specie nella zona della Sacca: fischietti, reti, alberi finti e vistiae.


    Con le grandi bande di ragazzini che si formavano a quei tempi, andava a nuotare dietro l’isola della Schiusa, e passando il canale raggiungevano il prospicente Dosso de le rane. Lí, con la protezione della vegetazione lacustre, partiva un’insolita gara senza premi dove il vincitore era chi produceva gli stronzi piu’ grandi; dopo la prova si riunivano e le esecuzioni venivano passate in rassegna. Sicuro era un susseguirsi di risate ma un giorno la commissione restó ammutolita di fronte ad un’opera monumentale, sulla quale era stato anche apposto un cartellino con su scritto: “Sensa sforso“; l’autore resto’ sconosciuto ma credo che per lo stile non si possa dubitare che fosse Ciano.


    Dopo gli anni della grande fame, quando in giro si vedevano pochi colombi e passerotti, subito dopo la seconda guerra mondiale arrivarono le truppe di liberazione inglesi ed americane ed in paese si comincio’ a vedere la cioccolata che arrivava dalle loro famose razioni K. I nostri mamuli giravano in gruppetti divertendosi per la novitá ed anche cercando l’occasione di mangiare qualcosa di prelibato; un giorno, gli Americani avevano lasciato su di un davanzale una grande forma di pane piatta , una galletta gigantesca; Ciano ed amici la notarono immediatamente, la tirarono ancora piu’ in fuori e, impostate le fameliche bocche sulla sua larghezza, si misero a mangiarla. “Comó machinete” commentava, e certo dall’interno i soldati si saranno sorpresi vedendo la galletta che usciva e scompariva !


    Piu’ tardi, come a tutti, gli tocco’ il servizio militare e della naja aveva un bel ricordo; l’aveva passata assieme ad altri ragazzi gradesi, d’accordo c’era la disciplina ma finalmente non mancava da mangiare. I nostri arrivavano dalla poverta’ e si ingozzavano di pastasciutta, partiti smilzi ritornarono a casa con una bella pancia rotonda.

    E c’e’ da dire che in varie sue canzoni la fame o il suo altro lato, la poverta’, riappare come in Magna, magna figio mio dove recita “Se tu no magnará, solo rece de tu se vegará” o in Povero mein capel con “Ma dó sardele in tola le vol pe’ no murí “.

    Una notte lo misero di guardia con altri due alla camera mortuaria per vegliare un commilitone, dopo qualche ora cominció ad annoiarsi e, approfittando dell’assenza di un compagno d’armi che era andato al gabinetto, con l’altro amico tirarono su il morto, si nasconderono dietro e reggendolo quando tornó gli avanzarono incontro; quello si spaventó e terrorizzato dal morto che camminava scappó a gambe levate. Felici per la riuscita della burla, rimisero il defunto al suo posto e richiamarono l’altro che stava correndo giu’ per le scale, si sganasciarono dalle risa ed alla fine si calmarono e si apprestarono ad attendere il cambio di guardia.

    Terminato di ridere la quiete ritornó ma, forse per il movimento causato dalla camminata fuori programma, il gas nella pancia del pover’uomo si era mosso e così cominciarono a sentire impercettibili rumori dalla sagoma distesa. Pensarono subito che fosse l’amico per vendicarsi dello scherzo di prima, gli dissero di star fermo e non si preoccuparono, ma improvvisamente lo videro tornare un’altra volta dal bagno ed allora, se non era stato lui, era il morto offeso per il poco riguardo dimostratogli. Questa volta scapparono spaventati tutti e tre.


    Raccontava che un giorno fu chiamato ad un’audizione a Milano per l’orchestra giovanile della RAI. Gia’ all’arrivo si meraviglio’ perche’ ad attenderlo alla stazione dei treni c’era un tipo con un cartello con su il suo nome, lo stesso era il taxista con il quale bisticció perché mentre lo conduceva a destinazione rifiutava di farlo stare seduto davanti. Poi all’albergo a colazione restó incantato davanti a tutto quel ben di Dio ben disposto su lunghi tavoli; con l’antica previdenza isolana pensando ai pasti i successivi, che non si sa mai, fece incetta di pagnotte, se le mise nelle tasche e di soppiatto, a piú riprese riforní l’armadio in camera. Poi gli spiegarono che anche pranzo e cena erano gia’ pagati ma comunque, anche se l’immediata sopravvivenza era risolta, continuó la provvigione pensando alla futura fame lagunare.


    Peró la musica, al di lá delle suonate a matrimoni, lezioni di chitarra, sagre, concertini estivi non basta per tirare avanti una famiglia e perció alternava i lavori tipici stagionali (sabbiature, bagnino) con il muratore.

    Dava lezioni di chitarra ai bambini, e la prima lezione era particolare perché allo studente chiedeva subito se sapeva nuotare. Se la risposta era affermativa gli chiedeva di darne una dimostrazione. “Comó, nuá, indola ? “ replicavano stralunati “Ma quá, per tera, indola se no !” replicava lui serio. Be’ quelli che si distendevano e cominciavano a muovere goffamente braccia e gambe sul pavimento venivano subito bocciati, perche’ diceva Ciano: “No volevo miga insegnai ai muni, sarave stao tempo ghitao via! “.

    Nella vecchia casa il piccolo bagno era separato dal soggiorno da una semplice tenda e stava insegnando ad un amico la tecnica del mandolino in posizione eretta appoggiando un piede sulla parete, dopo la dimostrazione toccó all’amico ripetere la lezione e, non conoscendo la geografia della casa, appoggió il piede sulla tenda perdendo l’equilibrio e finendo direttamente nella turca!


    D’estate per un periodo lavoró all’Hotel Astoria, il piú lussuoso del paese, come bagnino, all’ultimo piano. Fra i clienti c’era il dottor Scarpa, anno dopo anno, nonostante le sue cortesie non li allungava mezza mancia “tacagno comó la peste” e perció preparó una piccola vendetta. Il tale faceva uso dei bagni curativi in acqua di mare, l’hotel era attrezzato con vasche apposite, cosicché un giorno gli si mise di dietro e lo incitó a fare anche dei gargarismi, portentosi per la gola e, mentre lo convinceva gli pisciava con circospezione da dietro nella vasca.

    Nell’ultimo piano dell’hotel c’era anche un solarium, maschile e femminile rigorosamente divisi, l’ultimo guardato a vista da due donne gradesi, giusto per farle imbestialire, con il compagno Gianni Marchesan Cavalin si metteva sopra i vestiti da donna un’accappatoio ed un asciugamano sulla testa, entrare con la testa un po’ china per nascondere le rudi fattezze, ma facendosi poi sorprendere, magari facendo cadere l’asciugamano o alzando la testa un attimo e guardando di sbieco, godere delle urla delle sorveglianti, Quella dei travestimenti é sempre stata una sua passione, ancora oggi puó capitare di vederlo mettersi un tovagliolo in testa per diventare una donna od uno sceicco arabo.


    Con Cavalin alla chitarra ed Arturo Marin al violino componeva il Trio Saltapasti, che ha suonato per anni ed anni in paese, dall’hotel Savoy al Gardenia e senza dimenticare di allietare a Natale ed in tante altre occasioni gli anziani della casa di riposo. Oltre al repertorio classico da Besame mucho a Mámola, lui e Gianni cantavano le loro canzoni gradesi come Cinzia, Tango de Palú, Povero Mein Capel, tutte ironiche, pungenti ed anche surreali, nella tradizione di Piero Marchesan Canaro; rime come: “Se vemo messo del pesse bon dopo domila ani de sabion” o “E i siuri xé in Pancera che i beve ‘l Punt e Mes” e “Magna, magna figio mio che vego sgangulio” sono entrate nella memoria collettiva gradese. A volte nei testi é nascosto un messaggio occulto, é il caso di La Gatafera, arrivata seconda al Festival della Canzone Gradese nel 1971 nella categoria bambini. Questo terribile gattone con “i oci comó al fogo – a Gravo nato ma ‘l vive in Taroto – che quando che ‘l riva in citá, duti quanti ne fá spasemá” si riferiva a Lucio Grigolon, sindaco di Grado e uomo di potere degli anni cinquanta, sessanta.


    Come tanti compaesani nella bella stagione lavorava nell’azienda della spiaggia, spesso come addetto alle sabbiature: assisteva i turisti e gli copriva con la sabbia, fra di loro c’era un nano e, dopo averlo sepolto, a sua insaputa, ad un metro dai piedi infilava nella sabbia le sue ciabatte, cosicche’ ad una prima occhiata diventava di un’altezza normale. Fiero della sua opera lo chiamava: “Al nano piú grando del mondo”.


    Per un musicista lo strumento e’ un’estensione della personalitá e non si prende in mano, lo si abbraccia, con tenerezza, come si farebbe con un bambino, per Ciano e la sua Fender era cosi’. Una volta commentando di un altro chitarrista gradese disse: “Al sona stravacao e al tien la chitara comó una fersora !”. Raccontava, ma ho sempre creduto che fosse una leggenda, che quando era andato a comprarla si era avvicinato un signore smilzo e gli aveva chiesto il permesso di provarla per poi dirgli che sarebbe stato un ottimo acquisto. Sulle prime non lo aveva conosciuto ma poi, sentendolo pizzicare le corde non aveva avuto dubbi, era Franco Cerri, forse il piú grande suonatore di chitarra jazz italiano.


    Anche se non era il primo amore, si dedicava con piacere alla professione di muratore, certo sempre con l’animo allegro diffondendo battute a tutto spiano, come quando, per arrotondare lo stipendio, lavoró per restaurare la casa di mio fratello Andrea a San Nicoló di Ruda. I figli di mio fratello non vedevano l’ora di ritornare a casa da scuola per andarlo a vedere: soffiando di lato della bocca per far vibrare il baffo, ridere della sua mimica facciale come ad esempio quando alternava una faccia serissima con una poi di colpo allegra.


    E comunque la musica era sempre presente, pervasiva, diceva che le ispirazioni gli venivano in qualsiasi momento e, stranamente, specialmente in gabinetto, quando proprio per catturare le note non c’era niente a disposizione; invece magari mentre tirava su intonaci e gli capitava un’idea, la scriveva subito su qualsiasi cosa a portata di mano: carta dei sacchi di cemento, mattoni.

    Per la comune passione e per la simpatia diventó amico anche dei miei fratelli, ricordo una bella lunga serata a casa quando improvviso’ in versi su ogni componente della famiglia, ebbe gioco facile per rimare con Luciano ed Andrea, volevo proprio vedere come se la sarebbe cavata con Mario ma, dopo un giro strampalato lo beccó con un calendario. Questa delle rime in musica é un’arte antica che parté dai cantastorie ed oggi, con la musica a facile disposizione non ci sono piú gli improvvisatori: a Ciano era sempre piaciuto questo esercizio ed altri mi hanno raccontato che quando abitava in Gravo vecia, prima di andare a vivere in un condominio vicino al porticciolo settentrionale, andava avanti per ore, proponendo macchiette per tutti gli abitanti di Via Gradenigo, uno dietro l’altro, casa per casa, secondo l’ordine del numero civico.


    Questo é Ciano Siego, con i suoi difetti e le sue qualitá ma indubbiamente un vero graisan, qualche piccole storia, e chissá quante altre, magari non significative ai piú, per me invece parte della mia vita e che porteró sempre con me. Lo scritto é memoria e spero servirá ad altri per ricordare.


    Luciano Cicogna, Islanda Marzo 2008Ho ricevuto e posto questa biografia di un personaggio caro a tutti noi graisani, un uomo semplice, grande musicista e di una simpatia a tutta pelle, Luciano Siego.


    Luciano Facchinetti Siego, o Ciano per gli amici, é un vispo signore verso i sessant’ anni ancora arzillo, con un piglio giovanile ed a tratti fanciullesco; si vede spesso girare in bicicletta senza fretta o, senza mollarla, con un piede a terra per reggersi e chiaccherare a lungo con gli amici, o portando a spasso il nipotino sulla stanga. Non molto alto, in forma, capigliatura nera sempre piú brizzolata, lo riconosci per i baffoni, neri come gli occhi vivaci, naso grosso. Se poi hai dei dubbi, ti puoi avvicinare e se ascolti discorsi di musica o di chitarra sei sicuro di averlo trovato. Quando é a spasso ha una grande placiditá, un antico ritmo lento e se ti fermi, non si accontenta di un semplice saluto, se tu hai fretta e lo chiami e gli sventoli solamente la mano passando avanti, vedi nella sua espressione un rammarico. Con l’eta’ e’ diventato un po’ sordo da un’orecchio e quindi e’ meglio parlargli dal lato giusto.


    Fin da quando da piccolo ho messo le labbra sul clarinetto in mi bemolle, detto anche quartino e cominciato a frequentare la banda civica, ho sentito il suo nome che ricorreva spesso nei discorsi fra i suonatori anziani, i grandi, in particolare fra quelli che avevano la fortuna di suonare nell’orchestra del Festival della Canzone Gradese; ne parlavano con rispetto musicale e con simpatia, bastava che qualcuno ne accennasse e le facce diventavano allegre, la risata pronta a partire.

    Avevo partecipato piccolissimo a questa manifestazione nella sezione dei Mamuli, nell’ ex-cinema dov’e’ l’attuale supermercato Europa, con la canzone Canditi la cui musica era stata scritta da Valerio Pastoricchio. Probabilmente Ciano aveva suonato anche quella volta, come sempre, ma avendo solo cinque anni non lo avevo certo notato.


    Da bambino abitava in Borgo de Fora, vicino a Piazza Marin, che allora si chiamava Piazza Vittoria; la sua era una famiglia di modeste condizioni, ma di sicuro le risate non mancavano.

    Il padre, come tanti gradesi passava buona parte della serata in osteria con gli amici ed il piccolo Luciano spesso veniva mandato in missione dalla madre per recuperarlo, un leit-motiv gradese. Un giorno non l’aveva trovato da nessuna parte ed era alquanto preoccupato per la reazione della madre che, man mano passava il tempo e si faceva tardi fumava sempre di piu’ per la rabbia. Alla fine un bussare incerto risuonó dal portone, lei si armó della scopa, aprí di colpo la porta e prese a tirare colpi sulla testa del marito, che pero’ era il povero Monsignore Sebastiano Tognon, passato per la benedizione delle case.


    Con loro viveva anche la nonna, mal messa per gli acciacchi dell’etá, specialmente un mal di schiena che la faceva brontolare di continuo. Un po’ cresciuto Luciano insistette perche’ si facesse vedere da un dottore, ma lei, seraficamente, con la fede che le brillava negli occhi gli rispose che non serviva, gia’ da tempo aveva messo sulla parte dolorante un santino di San Antonio e piu’ di lui chi poteva fare di piú?

    Incuriosito, nottetempo Luciano si avvicino’ silenziosamente al letto della nonna e delicatamente riusci’ ad infilarle una mano sotto il pigiama senza svegliarla ed a recuperare il prodigioso santino. La nonna pero’ si sveglió subito dopo perche’ il nipote non seppe trattenere una risata vedendo che il prodigioso medicamento era in realta’ una figurina del calciatore Sivori!


    Fin da bambino ed in tutta la sua vita c’erano due cose che lo appassionavano: la chitarra ed gli uccellini.

    Passava ore con Mario, il nostro vicino di casa, che aveva riempito il piccolo cortile di voliere, e conosceva tutte le tecniche per catturarli, specie nella zona della Sacca: fischietti, reti, alberi finti e vistiae.


    Con le grandi bande di ragazzini che si formavano a quei tempi, andava a nuotare dietro l’isola della Schiusa, e passando il canale raggiungevano il prospicente Dosso de le rane. Lí, con la protezione della vegetazione lacustre, partiva un’insolita gara senza premi dove il vincitore era chi produceva gli stronzi piu’ grandi; dopo la prova si riunivano e le esecuzioni venivano passate in rassegna. Sicuro era un susseguirsi di risate ma un giorno la commissione restó ammutolita di fronte ad un’opera monumentale, sulla quale era stato anche apposto un cartellino con su scritto: “Sensa sforso“; l’autore resto’ sconosciuto ma credo che per lo stile non si possa dubitare che fosse Ciano.


    Dopo gli anni della grande fame, quando in giro si vedevano pochi colombi e passerotti, subito dopo la seconda guerra mondiale arrivarono le truppe di liberazione inglesi ed americane ed in paese si comincio’ a vedere la cioccolata che arrivava dalle loro famose razioni K. I nostri mamuli giravano in gruppetti divertendosi per la novitá ed anche cercando l’occasione di mangiare qualcosa di prelibato; un giorno, gli Americani avevano lasciato su di un davanzale una grande forma di pane piatta , una galletta gigantesca; Ciano ed amici la notarono immediatamente, la tirarono ancora piu’ in fuori e, impostate le fameliche bocche sulla sua larghezza, si misero a mangiarla. “Comó machinete” commentava, e certo dall’interno i soldati si saranno sorpresi vedendo la galletta che usciva e scompariva !


    Piu’ tardi, come a tutti, gli tocco’ il servizio militare e della naja aveva un bel ricordo; l’aveva passata assieme ad altri ragazzi gradesi, d’accordo c’era la disciplina ma finalmente non mancava da mangiare. I nostri arrivavano dalla poverta’ e si ingozzavano di pastasciutta, partiti smilzi ritornarono a casa con una bella pancia rotonda.

    E c’e’ da dire che in varie sue canzoni la fame o il suo altro lato, la poverta’, riappare come in Magna, magna figio mio dove recita “Se tu no magnará, solo rece de tu se vegará” o in Povero mein capel con “Ma dó sardele in tola le vol pe’ no murí “.

    Una notte lo misero di guardia con altri due alla camera mortuaria per vegliare un commilitone, dopo qualche ora cominció ad annoiarsi e, approfittando dell’assenza di un compagno d’armi che era andato al gabinetto, con l’altro amico tirarono su il morto, si nasconderono dietro e reggendolo quando tornó gli avanzarono incontro; quello si spaventó e terrorizzato dal morto che camminava scappó a gambe levate. Felici per la riuscita della burla, rimisero il defunto al suo posto e richiamarono l’altro che stava correndo giu’ per le scale, si sganasciarono dalle risa ed alla fine si calmarono e si apprestarono ad attendere il cambio di guardia.

    Terminato di ridere la quiete ritornó ma, forse per il movimento causato dalla camminata fuori programma, il gas nella pancia del pover’uomo si era mosso e così cominciarono a sentire impercettibili rumori dalla sagoma distesa. Pensarono subito che fosse l’amico per vendicarsi dello scherzo di prima, gli dissero di star fermo e non si preoccuparono, ma improvvisamente lo videro tornare un’altra volta dal bagno ed allora, se non era stato lui, era il morto offeso per il poco riguardo dimostratogli. Questa volta scapparono spaventati tutti e tre.


    Raccontava che un giorno fu chiamato ad un’audizione a Milano per l’orchestra giovanile della RAI. Gia’ all’arrivo si meraviglio’ perche’ ad attenderlo alla stazione dei treni c’era un tipo con un cartello con su il suo nome, lo stesso era il taxista con il quale bisticció perché mentre lo conduceva a destinazione rifiutava di farlo stare seduto davanti. Poi all’albergo a colazione restó incantato davanti a tutto quel ben di Dio ben disposto su lunghi tavoli; con l’antica previdenza isolana pensando ai pasti i successivi, che non si sa mai, fece incetta di pagnotte, se le mise nelle tasche e di soppiatto, a piú riprese riforní l’armadio in camera. Poi gli spiegarono che anche pranzo e cena erano gia’ pagati ma comunque, anche se l’immediata sopravvivenza era risolta, continuó la provvigione pensando alla futura fame lagunare.


    Peró la musica, al di lá delle suonate a matrimoni, lezioni di chitarra, sagre, concertini estivi non basta per tirare avanti una famiglia e perció alternava i lavori tipici stagionali (sabbiature, bagnino) con il muratore.

    Dava lezioni di chitarra ai bambini, e la prima lezione era particolare perché allo studente chiedeva subito se sapeva nuotare. Se la risposta era affermativa gli chiedeva di darne una dimostrazione. “Comó, nuá, indolà ? “ replicavano stralunati “Ma quá, per tera, indola se no !” replicava lui serio. Be’ quelli che si distendevano e cominciavano a muovere goffamente braccia e gambe sul pavimento venivano subito bocciati, perche’ diceva Ciano: “No volevo miga insegnai ai muni, sarave stao tempo ghitao via! “.

    Nella vecchia casa il piccolo bagno era separato dal soggiorno da una semplice tenda e stava insegnando ad un amico la tecnica del mandolino in posizione eretta appoggiando un piede sulla parete, dopo la dimostrazione toccó all’amico ripetere la lezione e, non conoscendo la geografia della casa, appoggió il piede sulla tenda perdendo l’equilibrio e finendo direttamente nella turca!


    D’estate per un periodo lavoró all’Hotel Astoria, il piú lussuoso del paese, come bagnino, all’ultimo piano. Fra i clienti c’era il dottor Scarpa, anno dopo anno, nonostante le sue cortesie non li allungava mezza mancia “tacagno comó la peste” e perció preparó una piccola vendetta. Il tale faceva uso dei bagni curativi in acqua di mare, l’hotel era attrezzato con vasche apposite, cosicché un giorno gli si mise di dietro e lo incitó a fare anche dei gargarismi, portentosi per la gola e, mentre lo convinceva gli pisciava con circospezione da dietro nella vasca.

    Nell’ultimo piano dell’hotel c’era anche un solarium, maschile e femminile rigorosamente divisi, l’ultimo guardato a vista da due donne gradesi, giusto per farle imbestialire, con il compagno Gianni Marchesan Cavalin si metteva sopra i vestiti da donna un’accappatoio ed un asciugamano sulla testa, entrare con la testa un po’ china per nascondere le rudi fattezze, ma facendosi poi sorprendere, magari facendo cadere l’asciugamano o alzando la testa un attimo e guardando di sbieco, godere delle urla delle sorveglianti, Quella dei travestimenti é sempre stata una sua passione, ancora oggi puó capitare di vederlo mettersi un tovagliolo in testa per diventare una donna od uno sceicco arabo.


    Con Cavalin alla chitarra ed Arturo Marin al violino componeva il Trio Saltapasti, che ha suonato per anni ed anni in paese, dall’hotel Savoy al Gardenia e senza dimenticare di allietare a Natale ed in tante altre occasioni gli anziani della casa di riposo. Oltre al repertorio classico da Besame mucho a Mámola, lui e Gianni cantavano le loro canzoni gradesi come Cinzia, Tango de Palú, Povero Mein Capel, tutte ironiche, pungenti ed anche surreali, nella tradizione di Piero Marchesan Canaro; rime come: “Se vemo messo del pesse bon dopo domila ani de sabion” o “E i siuri xé in Pancera che i beve ‘l Punt e Mes” e “Magna, magna figio mio che vego sgangulio” sono entrate nella memoria collettiva gradese. A volte nei testi é nascosto un messaggio occulto, é il caso di La Gatafera, arrivata seconda al Festival della Canzone Gradese nel 1971 nella categoria bambini. Questo terribile gattone con “i oci comó al fogo – a Gravo nato ma ‘l vive in Taroto – che quando che ‘l riva in citá, duti quanti ne fá spasemá” si riferiva a Lucio Grigolon, sindaco di Grado e uomo di potere degli anni cinquanta, sessanta.


    Come tanti compaesani nella bella stagione lavorava nell’azienda della spiaggia, spesso come addetto alle sabbiature: assisteva i turisti e gli copriva con la sabbia, fra di loro c’era un nano e, dopo averlo sepolto, a sua insaputa, ad un metro dai piedi infilava nella sabbia le sue ciabatte, cosicche’ ad una prima occhiata diventava di un’altezza normale. Fiero della sua opera lo chiamava: “Al nano piú grando del mondo”.


    Per un musicista lo strumento e’ un’estensione della personalitá e non si prende in mano, lo si abbraccia, con tenerezza, come si farebbe con un bambino, per Ciano e la sua Fender era cosi’. Una volta commentando di un altro chitarrista gradese disse: “Al sona stravacao e al tien la chitara comó una fersora !”. Raccontava, ma ho sempre creduto che fosse una leggenda, che quando era andato a comprarla si era avvicinato un signore smilzo e gli aveva chiesto il permesso di provarla per poi dirgli che sarebbe stato un ottimo acquisto. Sulle prime non lo aveva conosciuto ma poi, sentendolo pizzicare le corde non aveva avuto dubbi, era Franco Cerri, forse il piú grande suonatore di chitarra jazz italiano.


    Anche se non era il primo amore, si dedicava con piacere alla professione di muratore, certo sempre con l’animo allegro diffondendo battute a tutto spiano, come quando, per arrotondare lo stipendio, lavoró per restaurare la casa di mio fratello Andrea a San Nicoló di Ruda. I figli di mio fratello non vedevano l’ora di ritornare a casa da scuola per andarlo a vedere: soffiando di lato della bocca per far vibrare il baffo, ridere della sua mimica facciale come ad esempio quando alternava una faccia serissima con una poi di colpo allegra.


    E comunque la musica era sempre presente, pervasiva, diceva che le ispirazioni gli venivano in qualsiasi momento e, stranamente, specialmente in gabinetto, quando proprio per catturare le note non c’era niente a disposizione; invece magari mentre tirava su intonaci e gli capitava un’idea, la scriveva subito su qualsiasi cosa a portata di mano: carta dei sacchi di cemento, mattoni.

    Per la comune passione e per la simpatia diventó amico anche dei miei fratelli, ricordo una bella lunga serata a casa quando improvviso’ in versi su ogni componente della famiglia, ebbe gioco facile per rimare con Luciano ed Andrea, volevo proprio vedere come se la sarebbe cavata con Mario ma, dopo un giro strampalato lo beccó con un calendario. Questa delle rime in musica é un’arte antica che parté dai cantastorie ed oggi, con la musica a facile disposizione non ci sono piú gli improvvisatori: a Ciano era sempre piaciuto questo esercizio ed altri mi hanno raccontato che quando abitava in Gravo vecia, prima di andare a vivere in un condominio vicino al porticciolo settentrionale, andava avanti per ore, proponendo macchiette per tutti gli abitanti di Via Gradenigo, uno dietro l’altro, casa per casa, secondo l’ordine del numero civico.


    Questo é Ciano Siego, con i suoi difetti e le sue qualitá ma indubbiamente un vero graisan, qualche piccole storia, e chissá quante altre, magari non significative ai piú, per me invece parte della mia vita e che porteró sempre con me. Lo scritto é memoria e spero servirá ad altri per ricordare.


    Luciano Cicogna, Islanda Marzo 2008


 

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