18 dicembre, 2023
la dottoressa edda serra l'angelo di biagio marin
In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.
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