19 novembre, 2015

DEtti e modi di dire del passato o forse no...



...Fai in modo che il tuo passato sia parte di ciò che diventerai...

Grado, come in tutte le comunità circoscritte, ha molti modi di dire o detti popolari che sono gocce di saggezza condensate.
Fotografavano situazioni e davano soluzioni per gente che considerava la scrittura e la lettura un lusso de "siuri".

Ricordarli per me è un tuffo nel passato, un ritorno alle origini, con mia nonna che alternando le sgrida per farmi star fermo declamava continuamente gemme di saggezza popolare.

Comportamenti, costumi, pensieri facevano parte di un patrimonio comune, consolidato e acquisito in maniera naturale da quella pozza d'esperienze che era l'ambito familiare.

Era naturale trasmettere esperienza con i motti popolari che compendiavano in quattro parole l'esistenza.

Vediamone alcuni:

I corni vostri malediti che ze l' arma dei vostri veci
No bisogna magnà duto quel che se ha, no bisogna contà duto quel che se sà.
Un bon e un tristo se confà.
Cò la stela ze vissin a la luna o piova o fortuna.
Garbinasso quel che cato, lasso
Megio un magro acordo che una grassa sentensia.
Per un ciacolon: Tasi pesse brontolo
A sto mondo va fato comò feva Venessia:
la zente se lassa tosà no scortegà
Quando vien la festa se lassa ogni secada, e a bordo de la Radeski se fa la ciacolada.
Se no ze barufa no ze gnanche festa.


Insomma nel passato, pur con le sue contraddizioni e difficoltà, si offriva l'occasione per riflettere e affrontare le difficoltà della vita con ricchezza di spirito e per rendere le persone più "persone".

Piero "Canaro" Marchesan scriveva in una sua canzone:
"Ma qui ze ani ormai passai
timpi alegri e spensierai
che mai più ritornarà,
che pecà, che pecà.
Me recordo co gero in sigonda,
la maestra me diseva che la tera ze tonda,
e studiando l'astronomia,
che ze la roba più bela che sia".





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