03 gennaio, 2017

Conti di Grado



Il Palazzo del Conte

Il   Comune di Grado ha storia antica e la democrazia è fatto compiuto sulla nostra Isola da 800 anni.

Con la dipartita del Patriarca da Grado a Venezia, per assicurare alla città continuità amministrativa e politica il Doge Veneziano nominò un patrizio responsabile della gestione del potere a Grado: 
                                                                Il Conte di Grado

Il primo Conte di Grado è stato, Gabriele Barbarigo nel 1266. 

Il nostro reggente aveva il titolo di conte in quanto non era responsabile solo della città ma anche del vasto territorio che la circondava, la nostra laguna. Comitatus Gradi, Contea di Grado. Seguendo le tracce del Caprin, presso l'Archivio di Venezia si nota che in verità la serie dei nostri conti non inizia nel 1266 bensì prima ( tra la fine del 1100 e l'inizio del 1200): 1265, Eliodoro Vidal: 1233, Johanni Corino; 1226 M. Conzabote; e prima, in data non verificata, tale G. de Vigna di S.Fosca.

Egli rappresentava la massima magistratura locale e riassumeva in sé una pluralità di funzioni, fatto abbastanza eccezionale rispetto a tanti altri liberi Comuni del Nord: non solo era podestà, ma giudice, amministratore ed esattore. 
La durata del suo incarico risultava dapprima di 16, poi di 12 mesi, secondo il principio romano dell'annualità delle cariche pubbliche. 

Presiedeva il Tribunale, intratteneva stretti rapporti con la Serenissima, indiceva e presiedeva le riunioni del nobile Consiglio, che deteneva il potere decisionale sulle più importanti proposte che riguardavano l'intera comunità, perché: “L’isola dipendeva bensì da Venezia nelle cose d'interesse generale, ma conservava propria autonomia" (Caprin).
Inizialmente il Consiglio era formato dai membri di sette famiglie patrizie e rispecchiava la forma di governo oligarchica di Venezia; in seguito fu allargata la base del suo elettorato passivo. 

Era composto da un numero variabile di membri, solitamente da 25 a 40 e forse più in alcuni mandati, e veniva convocato al suono della campana civica e dalla voce del banditore, nel Palazzo del Comune. 
I suoi compiti erano fondamentali per la vita dell'Isola, perché, oltre ad eleggere tutti i magistrati comunali, deliberava sulle questioni generali ed emanava i relativi editti.
Come in tutti i liberi Comuni del periodo, l'organismo propositivo e sovrano era rappresentato dall'assemblea popolare o Arengo, che anche a Grado veniva riunito dal podestà periodicamente e in caso di necessità e urgenza o per assistere alle riunioni del Consiglio gradese, che "era la più bella e più pura incarnazione del Comune italiano" (Caprin). 

Dal XIV secolo in poi le decisioni non si basavano più sulle regole consuetudinarie antiche di tradizione orale, ma sugli Statuti Gradesi, che il Consiglio emanava, soprattutto per fissare inequivocabilmente l'ordinamento del Comune stesso e le principali norme riguardanti i cittadini. 

Oltre ad essi vi era il Libro dei Privilegi, che conteneva le esenzioni di cui godeva Grado per concessione della Serenissima in merito, per esempio, al diritto di pesca e al commercio con l'entroterra.
Le magistrature previste dagli ordinamenti comunali ed elette dal nobile Consiglio erano: i due Camerlenghi, che si occupavano dell'amministrazione del denaro pubblico e della contabilità del Comune; il Comandadôr, che svolgeva compiti esecutivi di ufficiale giudiziario e sanitario ed era responsabile della pubblicazione degli editti e delle grida; i tre Giudici che costituivano il Tribunale, presieduto dal Conte, che pronunciava le sentenze civili per le frequenti liti tra i cittadini in ordine alle proprietà e penali per i continui lievi reati di una popolazione tormentata dalla miseria e dalle difficoltà dell'esistenza materiale (le questioni più gravi venivano demandate a Venezia); 
infine vi era il Cancelliere, segretario del Conte, al quale competevano questioni di diritto amministrativo e di carattere militare.

Questo ordinamento del Comune gradese rimase in vigore fino al termine del XVIII secolo.

Si può notare la stretta connessione tra comandanti e comandati e la voglia di trasparenza nelle decisioni da prendere al punto tale da allargare la rappresentanza popolare in Consiglio.
Pur tra le ristrettezze e gli stenti del tempo la gente veniva rispettata e se rubavano (ma c'era molto poco da rubare) lo facevano con stile.

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