30 novembre, 2014

Tote al tò tempo




Tote al tò tempo 

T’ha mai vardao i fantulini in girotondo?
O sintio al rumor de la piova
O vardao al volo de una farfala?
Tu faravi megio a ‘ndà pian.
No movete cussì stieto
Tote al tò tempo .

T’ha mai dito a to figio
“lo faremo doman”
senza vardà, per premura,
al sovo dispiasser?
Tu ha mai perso un amigo
perchè no tu vivi al tempo
de dili ciao al telefono?

Tu faravi megio a ralentà
Tote al tò tempo .
Quando tu curi stieto
per ‘ndà de garghe parte
tu te perdi al gusto del viaso.
La vita no ze una corsa
ciapela pian
‘scolta la sova musica.

28 novembre, 2014

Un Paese in mole

La manipolazione della personalità singola e collettiva oggi è una priorità della nostra Società condita da un sano terrore degli altri, da curare con dosi potenti e ben pubblicizzate di bisogno di maggior sicurezza.

Il risultato è la spersonalizzazione, il conformismo più becero, la presunzione del sapere tutto e meglio.
Il Festival della personalità confusa, il trionfo dell'ignoranza e dell'incertezza.


Noi qui a Grado subiamo questo processo di spersonalizzazione, di società alterata condita da futuri improbabili, nonostante il fatto che viviamo come pesci rossi in una boccia di vetro con una memoria che dura tre secondi, il  che ci consente di vivere chiusi, senza accorgersene, in quest'isola con due ponti che danno l'illusione di libertà, di potersene andare, ma che possono usare solo gli altri, gli estranei all' Isola, perchè qui ci trattengono pareti invisibili ma solide.


Parliamo solo di noi, delle nostre miserie, dei nostri illusori successi, convinti di essere il centro del mondo ma chiusi in un mondo di vetro che mostra l' esterno confuso, poco percepito.

Ma forse per Grado c'è una ricetta e, in fondo, ce la possiamo fare dopo aver smesso di essere:

 i voltagabbana, gli ossequiapotenti, gli artisti dell’arrangiarsi, i procrastinatori, i pressapochisti, i tantocipensaluisti, gli ignoranti, i menefreghisti, i distinguisti, i nonvoglioesprimereunaposizionisti, i profittatori, i tantoiodipoliticanonmiinteressisti, gli apritori di dibattiti, i dimenticatori della propria storia, i revisionisti, i limatori di spigoli, i chiuditori di un occhio, i lei non sa chi sono io, i mediatori dell’immediabile, gli alzatori di spallucce, gli eternamente miopi, gli irrimediabilmente graisani.
Facile no?
 
Siamo un paese in ammollo in una palude.
E ci proviamo pure gusto.  

27 novembre, 2014

IO RUBO E non ho rimorsi

Moderni imprenditori per il bene del Paese.

IO RUBO E HO LA COSCIENZA A POSTO. 
Muovo l’economia. 

Compro terreni che non valgono un cazzo, do la sveglia agli uffici tecnici, ai geometri indolenti, agli assessori in fregola. 
Ingaggio qualcuno per semplificare i permessi e un’azienda buona che fa il lavoro in nero, al ribasso, ed ecco che saltano fuori cento villini vista pioppi e
autostrada. 

E se poi nessuno li compra prendetevela con i dilettanti delle agenzie e con questa maledetta recessione. Io cosa c’entro?

Scavo dighe in fondo al mare, un portento di ingegneria che il mondo ci invidia, lubrifico in dollari, euro, cene, vacanze, fondi pensione.

Non capisco perchè, dopo tutto questo prodigarmi per il prossimo, l' unico che mi vuole bene è il cane.

26 novembre, 2014

Scelte di vita


Oggi si parla spesso di grandi cambiamenti e dell' insofferenza alle Istituzioni fortemente degradate dal cattivo esempio dei politici, non si parla di rivoluzioni ma, anche se sottotraccia, grandi stravolgimenti si profilano.

Quando ero molto giovane e vi parlo del 1964 io studiavo in collegio e già cominciavano a girare idee di rivoluzione studentesca non proprio in Italia ma in Francia.

Durante  l' estate qualche volta mi piaceva far compagnia al mio papà a pesca e parlavo con lui di queste nuove idee.

Mi ricordo di una serata in mezzo al Golfo di Trieste, avrò avuto si e no 16 anni, ed ero in caiccio con mio padre a saccaleva.
Le lampade a gas ( i ferali ) illuminavano a giorno la superficie del mare ed io con la pustia pescavo calamari soto al feral e contemporaneamente controllavo i banchi di pesce che si avvicinavano alla barca attirati dalla luce, dando così un po di tregua al mio papà che poteva riposare.

Ad un certo punto, erano anni di discorsi rivoluzionari ed io ero uno studente ad Udine, ho chiesto al mio papà, che si era svegliato, come mai non avesse scelto una carriera da impiegato, con i timbri, le matite, le penne biro, le gambe delle impiegate da guardare sotto la scrivania, lui serio serio, me lo ricordo bene, mi fa:

in uficio va solo i democristiani, noltri 'ndemo in mar, tu tu ciaculi de fa la rivolussion, alora tu devi 'vè i cali grossi su le mane.

Io non dissi nulla ma da quella volta sta storia della rivoluzione mi è andata un po di traverso, il fatto di doverla aspettare e di farsi venire i calli sulle mani mi rompeva un po le palle.

Comunque, non contento, a casa ho chiesto anche a mio nonno come mai non avesse scelto di fare l'impiegato, la reazione fu sorprendente.

tu son mato - mi disse - noi pescatori siamo le persone più fortunate del mondo, si è vero prendiamo freddo e se bagnemo continuamente con dolori in tutto il corpo, ma tu vol mete,  podemo scorezà quando ne par e piase, tanto in mar cu tu vol che te senta.

Non ci ho pensato mai più, avrei dovuto farmi subito la tessera della Democrazia Cristiana, invece eccomi qua "in mar e scorezo liberamente" 

25 novembre, 2014

Grado e la Riforma degli Enti Locali

Vedo dai commenti odierni del Piccolo che a proposito della Riforma, presto detta e presto fatta, degli Enti Locali  c' è una proposta per la costituzione della vecchia fascia Kusten Land Austriaca con Trieste quale suo Centro, non è un' idea peregrina e già adottata dal 1923 al 1947.

Ripropongo a questo proposito un mio vecchio post che ne parlava già nel lontano 2010:

Per un periodo di 25 anni Grado in quanto Kustenland fece parte della Provincia di Trieste, vediamo la sequenza della storia amministrativa provinciale.

Grado, dopo il 1866 venne inclusa nella Contea Principesca di Gorizia e Gradisca.

Con la caduta dell'impero Austriaco nel 1918 e  sino al 1923 quando, ormai sotto l'influenza italiana,  per diluire la componente slava della popolazione venne soppressa la Provincia di Gorizia e il suo territorio spartito nella provincia di Udine e Trieste.

Grado, compreso Isola Morosini, nel 1923 passò sotto la competenza territoriale  provinciale di Trieste, sino al 1947 dopo la seconda Guerra e con la divisione del zona di Trieste in A e B.
Nel 1947, ricostituita la Provincia di Gorizia , Grado, per dare uno sbocco in mare alla stessa, fu annessa a quell'amministrazione.

Una storia molto tormentata, di grande confusione tra la popolazione che vedeva cambiare notabili con rapidità senza capire in fondo molto di quello che succedeva sopra alle loro teste.

Come oggi e come succederà domani insomma!

24 novembre, 2014

Luciano Sanson e Biagio Marin

C'era una volta una razza di giornalisti locali che pur lavorando "soto Comun" riuscivano lo stesso ad essere imparziali e a dare le notizie interessanti per quel che erano senza l' interpretazione "a cazzo" in uso oggi.
Luciano Sanson, uomo buono e imparziale, nel 1975  fece questa intervista a Biagio Marin che da una luce nuova e spiega, descrivendone le ragioni, alcune delle spigolosità dell' uomo Marin oltre che del Poeta.

Biagio Marin nacque  nel 1891, «l'anno in cui i'imperatore Francesco Giuseppe venne a Gorizia per celebrare non so quanti secoli di dominazione austriaca», se Grado non fosse stato sotto l'Austria, molto probabilmente lui non sarebbe mai diventato un poeta, anzi il poeta del nostro paese.

«Allora non c'erano scuole italiane e ho dovuto frequentare quelle tedesche», racconta Biagio Marin. «L'italiano lo si studiava soltanto due ore la settimana ed era una lingua per me pressoché sconosciuta, perché parlavo tedesco e a casa, con gli amici, usavo il dialetto. 
Infatti, quando in quarta ginnasio scrissi i miei primi versi la lingua che usai fu il tedesco. Ma avevo a Grado una compagna d'infanzia. 
Si chiamava Maria De Grassi», prosegue Biagio Marin.
 «E un giorno mi disse: "Biaseto, se vuoi fare il poeta. perché non provi a scrivere in gradese?". 
Quelle parole furono quasi una folgorazione per me. Decisi di darle retta e con mia grande meraviglia i versi mi nacquero con una facilità che non avrei mai immaginato. Quando Maria li lesse confermò la mia impressione. 
"Ma non capisci che sono molto meglio queste poesie di quelle che scrivevi prima?", disse soddisfatta. 
In quel momento capii che nel mio paese l'unica realtà che avesse valore era la lingua. La mia gente era tanto povera ma quel dialetto aveva in sé l'anima del del mio popolo e quell'anima doveva essere salvata.»

È stato così, quasi per caso, che Grado ha avuto il suo poeta e in più di sessanta anni Biagio Marin ha scritto con quella sua calligrafia piccola, nitida, ordinata, migliaia e migliaia di versi senza tradire mai il dialetto gradese. Tante poesie che lo hanno tenuto legato alla sua terra anche se viveva a Gorizia, poi a Vienna, a Firenze, a Roma e, infine, a Trieste. Quasi un disperato monologo d'amore con il paese dove è tornato da qualche anno per vivere, come dice lui, la sua agonia. Ma la Grado di oggi Biagio Marin non la riconosce più.

«Credo che sia diventata soltanto una fabbrica di turismo», commenta. «"Grado, vile città di camerieri !" si potrebbe definirla così, con ironia, perché non c'è vita culturale. L'unica aspirazione di tutti quanti è quella di essere o di diventare dei piccoli borghesi. Ho ormai pochi amici», aggiunge. «Ed è triste vedere che qua nessuno bada ai miei versi. Forse, mentre credevo che scrivendo in gradese mi sarei avvicinato alla mia gente, non mi ero accorto che la mia poesia non era popolare.

Il Duomo, la Basilica di Santa Maria, il Battistero, costruiti tutti nel VI° secolo dal patriarca Elia, la casa dove è nato, proprio là, vicino a Santa Maria delle Grazie, sono gli unici luoghi che gli ricordano la sua Grado. Quella che Biagio Marin continua a sognare. Il paese di tanti anni fa, quando suo padre navigava su un "rabaccolo" fra l'Istria e la Dalmazia trasportando vino.

«Mio nonno possedeva un'osteria e io là dentro feci la mia prima scuola, fra tutti quegli avventori che si chiamavano "compare" che mi sembravano tutti un po' miei parenti », ricorda Biagio Marin. «Avevo poi una nonna formidabile. Pensi, era una pescatrice di laguna. Si chiamava Antonia, nona Tonia, ed è stata una donna che mi ha insegnato molte cose perché era saggia anche se non aveva studiato. Mi ricordo che quando avevo quindici anni e cominciavo già a polemizzare con i preti mi disse: "Figliolo, non essere cattivo con loro. Guarda, son poveri uomini che si sono assunti impegni più grandi di loro. In realtà portano una grave croce. Noi dobbiamo aver pietà di loro e non odiarli e non essere severi."» 

È tra le pareti della sua casa tutto il mondo di Biagio Marin. Nel piccolo studio rettangolare, con la scrivania vicino alla finestra che dà sul mare, gli scaffali colmi di libri e dei grossi volumi rilegati che raccolgorno il suo diario, che scrive dal 1940, ininterrottamente, tutte le mattine alle cinque.


«Non lo ha letto ancora nessuno», spiega. «Tutte queste pagine potranno essere pubblicate soltanto dopo la mia morte.» 

È un'altra delle amarezze che Biagio Marin non dimentica e che lo hanno fatto rinchiudere sempre di più nel la sua casa, a scrivere, leggere, curare la grande collezione di conchiglie marine che sono centinaia, sparse un po' dovunque e che raccoglie da anni. Esce raramente e insieme con sua moglie, Giuseppa, percorre i novecento metri di un solitario lungomare proprio dietro la sua casa. Sono brevi viaggi per osservare da vicino quella spiaggia che i gradesi chiamano «Costa Azzurra» .

«A ottantaquattro anni. mi considero quasi sulla soglia del paradiso», confessa Biagio Marin. «La vita va via, la vita scorre ed io ho l'amarezza di essere un poeta lasciato un po' in disparte perché scrivo in dialetto. Ma non importa. L'amarezza resta e io continuo a scrivere. Lo sa quando nascono le mie poesie? La sera, fra la veglia e il sonno. Le scrivo in cinque minuti, attacco la prima parola e vado fino in fondo. Qualcuno mi ha accusato di scrivere troppo, che questo va a scapito della qualità. Non importa. Anche la più povera cosa che si possa scrivere può avere un valore, eppoi, se un uomo, per quanto modesto sia, riesce a registrare le sue ire, le sue commozioni, dà un segno di umanità.»


E "Biaseto" di umanità, di vivacità ne ha ancora molta. È capace di grandi ire, di grandi amori, è persino capace di conservare eterni rancori. A Grado è nato, vive, scrive nel suo dialetto ma è stata Trieste l'unica città che lo ha capito, onorato, nei trenta anni che vi ha vissuto come professore di fi losofia, vivendo la cultura di quella città, diventando molto amico di Scipio Slataper fondando con lui il famoso Circolo della Cultura e delle Arti. 

«Trieste non la potrò mai dimenticare», dice commosso Biagio Marin.

23 novembre, 2014

Esche da Click -

Capita di essere intasati da post condivisi da "amici" in specie su Facebook e non sempre sono amichevoli e praticabili senza lasciare traccia.

E' una delle strategie più funzionali all’accumulo di pagine viste e va sotto il nome di click bait, letteralmente “esche da click”.
 Immagini o video studiati apposta per dare il meglio sul circuito dei social network e la cui missione è diventare virali, incuriosire il lettore, ottenere il maggior numero di click. 

Chiunque di noi abbia un account su un social network — Facebook e Twitter soprattutto — ne noterà decine ogni giorno e spesso, abboccando (fishing), ci cliccherà. 

Il “click-baiting” è una pratica diffusa per ottenere molti click pur avendo un contenuto obiettivamente povero. 
Purtroppo, è un metodo usato anche da molti canali di informazione: si usa un link breve, una descrizione appositamente confusa o volutamente ambigua e la foto “giusta” per far sì che l’utente clicchi pensando di trovare una data notizia. Quest’ultima, però, non rispecchia le aspettative: ormai l’utente è entrato nell’articolo e il sito ha ottenuto la visita in più.
Possiamo dire che la notte dell’informazione online è popolata da animali di tutti i colori e di tutte le forme.

Gattini che rubano giocattoli ai bimbi, video pazzeschi di banchi di acciughe, leoni beffati da leonesse che rubano loro le prede, super gol dell’anno, istruzioni per stirare una camicia o per tagliare una torta.
Sotto la forma del click bait si può nascondere di tutto, dal contenuto più interessante e approfondito fino a quello più idiota, inutile e morboso. 


Contenuti facili, trovati in rete, veloci da fare e veloci da diffondere: per “cucinare” un contenuto del genere non serve un reporter di esperienza, né un giornalista qualificato ed esperto di un campo specifico. 

Proprio per questo, con pochissimo sforzo, tutti lo possono pubblicare, lanciare sui social e vedere l’effetto che fa.

L' effetto certo è il fastidio dell' amico destinatario di questa vera e propria spazzatura, e allora pay attention. 

 Fate Attenzione a quello che diffondete.

22 novembre, 2014

In Paluo


Leggere le descrizioni delle zone lagunari da parte degli anziani è una meraviglia perchè ogni parola ha un suo significato recondito e descrittivo che va al di la del puro significato letterale.
Leggete questa descrizione della Laguna verso S.Marco, dietro all' Isola della Ravaiarina.

Ze una zona picola, quela  drio i Orbi, un toco de la Vagiarina, al toco che scuminsia dopo la Vale de Giovani.
La velma de i Orbi.
Dalongo dopo ze al "Comio Bianco" e dadrio la "Ciusa Mata" che gera una seragia stramba.
Al Comio Bianco al se diseva Bianco perchè no gera nissuna pavarina, al gera valio.
L' Ara Storta la gera 'nverigolagia: la va la vien la torna indrio.
Al Canal de l' Omo morto i lo ciama cussì perchè i ha catao un negao.
Al Canal de l' Omo Morto al gera drio dei Duturi ma al vero motivo del sovo nome ze che al 'ndeva suso e dopo al moriva sul fondao.
Ze un Canal che nol te porta de nissuna parte; se va in velma e al more.

21 novembre, 2014

Scrivere in Graisan

Non esiste una regola precisa per scrivere correttamente in "Graisan".
Per ME è sempre stato, non difficile, impossibile farlo, perchè il nostro dialetto oltre al solito legittimo adattamento ai tempi che cambiano, all' influsso più o meno violento della lingua o dei dialetti limitrofi ha sempre subito l' influenza caratteriale tipica gradese del "ME"

La teoria del "Me" vuole che non ci sia altro ME all' infuori di ME, pertanto i modi di scrivere il dialetto sono sempre stati abbastanza diversi a secondo di chi fosse l' autore.

Non sono esenti i padri nobili dello scrivere graisan i precursori della cultura gradese: i Biagio Marin, Sebastiano Scaramuzza o Menego Picolo Marchesini che da bravi graisani proponevano ognuno la propria formula vincente.

Una delle cose più controverse delle scrivere correttamente in Graisan è l' uso del ZE o Xe .

Io propendo dalla parte dell' uso del ZE ma generalmente più o meno tutti utililizzano il XE mariniano

Ma Biagio Marin degli esordi, meno culturato e più popolano, usava anche lui il ze e a dimostrazione di ciò, propongo una sua chicca poetica quando ancora si firmava Marino Marin, è del 1913 non inserita in Fiuri de Tapo.

Lo strano di questa lirica è che lo stile si rifà in parte a Domenico Marchesini (Menego Picolo) e in parte a Sebastiano Scaramuzza, di cui sposa per una volta (credo unica) l'uso della Z e non della X, insomma non scrive xe ma ze!

Ringrazio Bruno Scaramuzza e il suo sterminato archivio di carte graisane per avermela mandata .

20 novembre, 2014

Arte Presepiale-Lorenzo Boemo

Devo dire che Lorenzo Boemo non mi sorprende più, la sua bravura è ormai arte e lo riconoscono in molti.



SESTA   RASSEGNA D'ARTE PRESEPIALE IN FRIULI VENEZIA GIULIA.


L'artista gradese Lorenzo Boemo rappresenterà Grado  con un PALIOTTO decorato in stile bizantino raffigurante il centro storico gradese con motivi religiosi.
___________________________________________________
Ho il piacere di comunicarle che la Commissione, riunitasi martedì 14 ottobre u.s. ha deliberato la Sua partecipazione alla 6° Rassegna d’Arte Presepiale in Friuli Venezia Giulia che si terrà a Villa Manin di Passariano, Codroipo (Ud) presso i locali dell’Esedra di Levante dal 06 dicembre 2014 all’11 gennaio 2015.


19 novembre, 2014

Mini-Basket Grado


Nella foto la squadra degli Aquilotti

Il Caccia (alias Maurizio Cacciavillani) mi ha letteralmente trascinato, per dare una mano, al PalaSacca.
Per me un rientro nel piccolo mondo del Basket dopo una quarantina di anni e per quanto si trattasse di minibasket ho capito subito che le cose erano serie.
I bambini e gli istruttori sono molto calati nella realtà di uno sport che privilegia la squadra all' individualità, senza negarla ne imbolsirla, e quindi anch'io mi son calato subito nella parte del giudice da tavolo rispolverando con l' aiuto di due belle e giovani mamme gli antichi ricordi sul come si compila correttamente un referto partita e si gestisce il tempo dal tavolo.

Poi pronti via, i bambini sono favolosi con la loro vitalità rendono facile e divertente ogni cosa, quattro tempi da 5 minuti, intervallati da continui strilli delle mamme e dei papà presenti numerosi al Palasport.
Era da tempo che non vedevo uno spettacolo simile, il punteggio ha un valore solo simbolico al punto tale che, per non svilire quelli che perdono, si aggiorna il pubblico tempo per tempo per evitare che punteggi di scarto troppo elevati sviliscano i bambini in campo.

Poi bella la richiesta dell' allenatrice avversaria che chiede di poter giocare altri due tempi perchè i bambini avevano ancora voglia di giocare e così si è fatto.
Flash-back mi pareva di essere tornato alle nostre partite interminabili al ex pattinaggio dove si sapeva solo l' ora di inizio e si finiva solo quando si era stremati.

Bello, bello, complimenti all' AP Grado che è riuscita a creare un' ambiente stupendo per i bambini e ad avere un' ottima ed abbondante leva di nuovi baskettari.

Buon Basket a tutti.






















Nella foto la squadra dei Cuccioli

18 novembre, 2014

Ricordi di Guerra

Ricordi della Prima Guerra, i nostri nonni sono andati alla guerra senza capirne nulla, come bambini dell' asilo, per giocarci. 
Sono tornati, quelli che sono tornati, feriti stanchi e con la barba lunga.
Ora festeggiamo gli anniversari.


Guarda i sopravvissuti
sui visi le maschere del dolore
sui visi le maschere del successo
messe per istinto di sopravvivenza.
Kulekov

17 novembre, 2014

Motorista

Sono il fortunato possessore di una Guzzi 650 Custom da ben 31 anni ora purtroppo un po in disarmo per scarsissimo uso. 
E' una signora ormai, con i suoi parafanghi acciaccati e qualche macchia del tempo.

Io appartengo  all’arcadico, ingenuo mondo a due ruote di una volta, ormai surclassato da tecnologie che piazzano sotto il sedere della gente marzianerie capaci di farti l’analisi della glicemia e colesterolo mentre guidi, anzi, mentre leggi il giornale perché loro si guidano da sole leggendoti pieghe e frenate nel pensiero.

Vorrei perpetuare il ricordo di ciò che ho amato e delle mie dita congelate tipo Campagna di Russia quando le manopole riscaldate erano solo fantasie malate e i guanti erano di lana, fatti dalla mamma disfacendo un maglione vecchio di papà.

E  addio, bustona di plastica nera dell' immondizia indossata quando pioveva tipo tunica dei Crociati. 
Un buco per la testa, due per le  braccia ed eccoci, oscenamente indegni a vedersi, sfrecciare col busto accettabilmente riparato ma le palle comunque umidicce come adulti incontinenti.

Addio giornale, di destra o di sinistra, l’importante era che fosse bello grande e 
una volta inserito sotto la camicia, dalla gola fino al colon non lasciasse filtrare neanche un refolo di aria gelida. 

E funzionava, la carta! La broncopolmonite doppia non te la prendevi. 
Ma tanto beccavi la sinusite, il casco non era obbligatorio (sì, ci fu un tempo) e ti pare, andare in giro con un' anguria in testa?

Addio nailon sulla sella per proteggere la spugna, che faceva rumori strani (e ti vergognavi)  ogni volta che ti sedevi.

E infine, addio anche a te, micidiale cavalletto laterale senza molla di richiamo (Dio! quante volte dimenticato con strisciate micidiali e rischio caduta).


Ecco, oggi che le moto hanno navigatori, computer di bordo parlanti, telecamere per retromarcia, copertura totale antipioggia climatizzata, forno a microonde, internet, tre ruote e tra poco quattro che è più sicuro,
il mio pensiero corre al tempo che fu e lo rimpiange. 

16 novembre, 2014

Dal Garum al Boreto



Il carico della Iulia Felix, ormai non ha segreti per gli studiosi, per noi cittadini destinatari ultimi (forse) del messaggio che la storia ci può dare sugli usi romani del tempo un po di più, ma siamo in trepidante attesa di aperture museali ormai promesse a tutte le latitudini, c'è una cosa però che conserva un lato oscuro, alcune anfore, le più piccole e quindi più preziose contenevano il Garum. 
Che cos'è il Garum e cosa rappresentava per il romano medio del tempo?
Chi si chiede cosa mangiassero i Romani a pranzo e a cena, incappa in lui, nel   garum. 
I Romani lo mettevano su tutto, un po’ come gli Americani mettono su tutto il ketchup, pure nel cappuccino. 
Il garum, non è facile spiegare esattamente cosa sia, perché dal mondo romano sono arrivati a noi molti accenni, ma non una ricetta completa. Ricostruiamo cosa fosse quindi in base a quel poco che sappiamo, e, da quel poco che sappiamo, possiamo ipotizzare con una certa precisione questo: 
il garum era una schifezza.

Era un impasto di interiora di pesce mezze essicate, che già fanno schifo del loro al solo pensarci, per di più lasciate a fermentare (modo elegante per evitare di dire “marcire”) sotto al sole in otri di terracotta, che fa quindi più schifo ancora. Da tutto ciò si ricavava una poltiglia immonda: ecco quello era il garum.
I Romani ne andavano ghiotti, e lo mettevano su tutto, del resto era un mondo senza frigoriferi, per cui una pennellata di garum su carni e pesci copriva anche molto i sapori originali, quelli che noi di solito chiamiamo “del buon tempo antico”, ma dimentichiamo sempre che nel buon tempo antico non erano un granché.
Apicio, autore deArte Coquinaria – De Opsoniis et Condimentis il più importante testo di cucina romana suggerisce di cospargere con il garum ogni pietanza per conferirgli salinità e quindi contribuire a conservarle. Plinio il Vecchio definisce il garum un liquido di pesce marcio. Certamente il garum era un liquido costituito dalle interiora di pesce, preventivamente aperte e lavate in acqua di mare, lasciate asciugare per poi essere messe a macerare in olio d’oliva e erbe varie.
Dioscoride Pedanio, De materia medica, libro II, 32     “Ogni tipo di garum, che è una salsa ottenuta da pesci e carni macerati con il sale, se con esso si fa un impiastro caldo, blocca le piaghe che consumano. Cura i morsi di cane. Si somministra a quelli che soffrono di dissenteria e di sciatica; ad alcuni si somministra perché cauterizzi le parti piagate, ad altri, invece, per far sentire ferite che non hanno avvertito.”
Detto questo i nostri vecchi, molto più savi e schizzinosi degli antichi romani, con i resti meno nobili del pesce pescato hanno elaborato la ricetta del Boreto facendone un piatto prelibato che resiste agevolmente ai giorni nostri anche alle analisi delle moderne USL che mai permetterebbero di mangiare schifezze crude come il "Garum".

15 novembre, 2014

BONE NOVE A LA NUVISSA

Mauro Marchesan, ogni tanto mi e ci omaggia di una sua creazione poetica, lo sa che mi fa piacere perchè lo considero uno dei migliori  rappresentanti della continuazione del discorso poetico dialettale gradese, cosa cui tengo molto.
Questa sua storia poetica è molto triste e delicata al contempo dipinge bene con le parole concetti che vanno scomparendo come amore eterno, fedeltà e determinazione.   Come al solito Mauro  allega la traduzione (sic!) in italiano.

La foto che allego a completamento del post rappresenta il giorno del matrimonio di Nino Gordini (Pastor) modificata per farne un effetto sogno qual' è l' indirizzo della poesia.


BONE NOVE A LA NUVISSA

I se vardeva sentai fora 'nte'l orto 
fra i grili canterinini e 'l laverno, 
solo coi vogi i se adoreva
covolando in peto un amor eterno.


Checna gera la p bel
che la Sdòba vessa visto,
perché la zoventù 'i piturevle gràmole 
col sol 'nfogao d'agosto.


E la spetèval dí de le nosse,
 i fiuri e un bianco vistío,
i satùli el pan de spagna,
e Piero sovo 'nte'l cuor rapío.


Ma 'na man nigra e sporc
la coverzeva duti i sieli
gera quela de la guera
che la sonchèva i sogni p beli.


E cussí sui mari greghi 
xe partio 'l sovo amor,
  comò tanti zuvini soldai,
'l xe partio sensa fâ rumor.


Po' s'à strassinao tediusi i mis
sensa nissuna bona nova
intanto che l'umana serpe
  mostreva la sova longa cova.


'Na nutissia dal fronte
xe rivagia comò 'na pèta,
  soltando sguelta 'nte l'aqua
da le Domìne a la Pineta

Piero 'l gera prisoniero
fra i riticolati de la Germania,
  cuma un pesse int'un cogòlo, 
int'una tera estnia.

E nissuna bona nova xe 
rivagia a Chicna, 
anche dopo finia la guera,
 gnanche 'na cartulina.

Magari sìchi comò bache,
 tanti i xe retornai a le radise,
  co' la pele comò 'l curame,
  frastornai e carghi de vissìghe.

Chichìna la 'ndeva a messa
e la 'npisseva a Barbana piculi lumi
la gera 'na circolina devota,
  'na basabanchi 
d'i rigidi custumi.

E 'i ani i xe passai lisier
comò le colse fine,
sensa vesse mai mariao,
senpre a var oltra le cultrine.

L'ultema volta che l' incrosàgia
  la steva sentagia in Casa Serena,
  co' un losario fruao int'una man;
  la steva spetando la sova sena.

In fin de la malinconica vita
la s'à sino anche ela 'na nuvissa,
  la s'à sposao co' nostro Signor
 un atimo prima che la murissa.


BUONE NUOVE ALLA SPOSA.
Si guardavano seduti fuori nell'orto / fra i grilli canterini e l'alloro, / solo con gli occhi si adoravano, / facendo bollire in petto un amore d'oro. // Francesca era la più bella / che la Sbobba avesse visto, / perché la gioventù le pitturava le guance / col sole infuocato d'agosto. // E aspettava il dí delle nozze, / i fiori e un bianco vestito, / le bomboniere e il pan di spagna, / e il suo Piero nel cuore rapito. // Ma una mano negra e sporca / copriva tutti i cieli, / era quella della guerra / che troncava i sogni più belli. // E così sui mari ellenici / è partito il suo amore, / come tanti giovani soldati, / è partito senza far rumore. // Dopo si sono trascinati tediosi i mesi / senza nessuna buona nuova, / intanto che l'umana serpe / mostrava la sua lunga coda. // Una notizia dal fronte / è arrivata come una pietra, / saltando rapida sull'acqua / dalle Domine alla Pineta. // Piero era prigioniero / fra i reticolati della Germania, / come un pesce nella rete, / in una terra estrania. // E nessuna buona nuova / è arrivata alla fidanzatina, / anche dopo finita la guerra, / neanche una cartolina // Magari magri come stecche, / tanti sono ritornati alle radici,/con la pelle come il cuoio, / frastornati e pieni di vesciche. // Francesca andava a messa / e accendeva a Barbana piccoli lumi, / era una cattolica devota, / una beghina dai rigidi costumi. // Gli anni sono passati leggeri / come le calze di seta fine, / senza essersi mai sposata, / sempre a guardare oltre le tendine. // L'ultima volta che l'ho incrociata / stava seduta in Casa Serena, / con un rosario consunto in una mano; / stava aspettando la sua cena. // Alla fine della malinconica vita / si è sentita anche lei una sposa, / s'è maritata con nostro Signore / fra i cipressi dove riposa.