La spiaggia di una calda domenica di luglio mette insieme le famiglie che si raccolgono attorno ai loro piccoli virgulti in letizia.
Non sempre però le cose vanno bene e le nevrosi, gli stress hanno il sopravvento.
Mi è capitato di assistere attonito, dalla diga a questa scena:
Il bimbo è un puttino al massimo duenne, paffutello e tranquillo. Ha il suo secchiello, è seduto in riva al mare e gioca allegro con la sabbia bagnata, impastandola con le manine senza altro fine che divertirsi. Infatti si diverte un mondo e non dà fastidio a nessuno.
Finché non arrivano nonno e padre, fino a quel momento fortunosamente impegnati a farsi i cavoli propri e ahimè invece improvvisamente decisi a farsi quelli del piccolo.
«No, ma non si fa così! Così non riesci a costruire un castello!» dice il genitore competente, che subito comincia a smanacciare con il secchiello del figlio per costruire una torre.
Il piccolo lo guarda perplesso, anche perché di costruire una torre non gliene frega assolutamente nulla, essendo peraltro in un’età in cui il concetto di “torre” e “castello” è di là da venire, e c’è solo una enorme distesa di sabbia in cui affondare le manine e divertirsi. Quindi prima guarda con la faccina triste il padre che capovolge il secchiello, poi, una volta che il padre ha costruito la torre e la fissa sentendosi un Renzo Piano, si alza, trottola di fianco alla costruzione e con un ben assestato colpo di piedino la butta giù e poi ci si siede sopra, ridendo a più non posso.
«No! – sbotta il padre – non si fa!» e inizia a sgridarlo manco avesse distrutto la casa di famiglia.
Il piccolo ovviamente non capisce cosa ha fatto di male, e quindi, lui che fino a quel momento era stato tranquillissimo, scoppia in un pianto disperato, urlando come un matto.
A questo punto il nonno, con trovata geniale, interviene e propone: «Adesso giochiamo a pallone!»
E inizia a tirare calci ad un pallone come se fosse Maradona con la sciatica.
Il piccolo è piccolo. Nessuno pare rendersene conto. Non è in grado di afferrare il concetto di “regola del gioco”: per cui prima guarda il pallone perplesso, poi gli corre dietro trottolando e invece di calciarlo cerca di afferrarlo con le mani, di rotolarcisi assieme. Il nonno continua a dirgli: «No! No! Col piede! Così!» prima paziente, poi insofferente, infine proprio incazzato che il nipotino non riesca ad afferrare il concetto per lui evidente ed elementare che il pallone si debba solo calciare. Siccome intanto però il nipotino capisce dal tono che sta facendo qualcosa di male, ma non capisce cosa, alla fine dopo un po’ di tentativi si impianta a seduto a terra e scoppia di nuovo in un pianto disperato, chiamando fra i singulti la mamma.
La mamma, che fino ad allora è stata distesa sul lettino a prende il sole, sbuffa un: «Madonna, come sei noioso oggi!» Lo prende in braccio, senza nemmeno cercare di capire cosa sia successo, e fa per portarlo via. Il piccolo si arrampica a quel punto sulle spalle della genitrice, perché lì, per terra, ci sono la sua paletta e il suo secchiello e tutta quella sabbia con cui lui adora giocare e con cui stava per altro divertendosi prima che questa pletora di adulti deficienti si mettesse in mezzo.
Siccome si divincola e cerca di sgattaiolare, la madre si arrabbia: «Fermo, che così ti fai male! Ma insomma, sei impossibile! Basta, adesso vieni con me e fermo!»
Il piccolo viene piazzato sotto l’ombrellone, piangente e disperato, creando un inferno per tutta la famiglia e anche per i poveri disgraziati che hanno l’ombrellone lì nei pressi, mentre madre e padre si lagnano ad alta voce con i loro amici di quanto sia impossibile avere una vita normale quando si hanno figli.
Il piccolo, intanto, non potendo più giocare con la sabbia bagnata, inizia a giocare con quella asciutta, prendendola nei pugnetti e tirandola addosso a chiunque passi. Quando qualcuno alla fine si lamenta, la madre inizia un litigio accusando tutti di essere razzisti nei confronti dei bambini. Seguono venti minuti di insulti incrociati, bofonchiati a voce più o meno alta, un tutti contro tutti in cui ci si rinfacciano presunte colpe che risalgono ai tempi di Adamo ed Eva, e forse un po’ più su.
Il piccolo ha smesso di piangere, nel frattempo. Guarda gli adulti.
Negli occhi gli leggi il terrore di diventare così.
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