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30 dicembre, 2023

alessandro Felluga, un libro:


 Ho letto il nuovo libro di Alessandro Felluga -  "Sant' Elena".


Lo devo ringraziare per avermelo fatto avere con la sua solita e schiva gentilezza di altri tempi.


Io sono un lettore accanito e onnivoro con una certa predilezione per il romanzo americano che non ti fa riflettere ne pensare più di tanto, ti racconta storie che sai lontane ed estranee al tuo mondo, non c'è modo di confrontarsi e in fondo non c'è bisogno di farlo, è lettura di evasione nasce e finisce la.


Alessandro Felluga, che ho letto in altre occasioni e di cui mi colpisce e in qualche modo frena il suo complesso modo di scrivere le storie, questa volta  ha aperto un mondo che è un mondo che io amo, quella Grado fantastica dei grandi caffè austro-ungarici dove le buone maniere facevano parte dell' offerta turistica, un mondo ovattato, denso, fatto di etichette e manierismi.


Io non credo di essere capace ne ho voglia di scrivere una recensione di un libro, posso solamente cercare di manifestare le emozioni che leggere quest' opera mi ha suscitato.


Tutto gira attorno ad un mondo  in cui  protagonisti  non sono troppi:

"Paron Faliero" e Aldo con l' apporto generoso di un professor Guido saggio padovano, con qualche spruzzata di figure femminili.


Un Mondo che in parte diventa unica ragione di vita, durante la stagione e in parte diventa ragione di avvizzimento, anche morale con grandi depressioni, durante l' inverno  che è vissuto come un periodo transitorio e depreminte tra una stagione e l' altra.


Ovviamente lo sfondo é Grado che prevale e alla fine diventa "S.Elena" come meta finale di un percorso di vita fatto più di vorrei ma non posso.


Il percorso descritto da Alessandro mi ha intrigato più volte, ha descritto benissimo una Grado splendida  durante i sei mesi di stagione con immagini dal Caffè Centrale, della vivacità, nonostante la morigeratezza dei costumi, delle persone, dei concerti pomeridiani, dei balli serali,

poi però in contro altare si arena e incupisce con la Grado invernale, quasi non la voglia, dove il protagonista sta seduto per giorni accanto allo spagher a guardare le nuvole che corrono portando via la sua giovinezza, che non sa affrontare.


Ecco questo un po', segna la sconfitta che il protagonista accetta sul finire del libro dopo un tentativo di fuggire a quella che considera la sua prigione andando all' estero per rivivere quella vita che lui considera sua, ma i vincoli ancestrali isolani sono troppo forti e lo trattengono a Grado

in quella che diventa la sua "S.Elena", malinconicamente una poltrona che da su un finestrino, per continuare a guardare le nuvole che corrono libere.


Un libro scritto bene che ti fa voglia, come ho fatto io, di sfogliare vecchie foto per capire meglio dove fossero  i luoghi di cui parla, ma malinconico e per certi tratti si intravede l' ombra dell' autore dietro al personaggio principale, ma il consiglio è leggetelo merita davvero attenzione.


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21 dicembre, 2023

paese mio


 picolo nio covo de corcali, pusao lisiero sora un dosso biondo, per tu de canti ne faravo u mondo e mai nò finiravo de cantali. 

Per tu sti canti a siò che i te ’ncorona comò un svolo de nuoli matutini
e un solo su la fossa de gnò nona duta coverta de alti rosmarini 

B. Marin picolo nio covo de corcali, pusao lisiero sora un dosso biondo, per tu de canti ne faravo u mondo e mai nò finiravo de cantali. 

Per tu sti canti a siò che i te ’ncorona comò un svolo de nuoli matutini
e un solo su la fossa de gnò nona duta coverta de alti rosmarini 

B. Marin 


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18 dicembre, 2023

la dottoressa edda serra l'angelo di biagio marin


 In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.In principio c’era un uomo che, stanco della solitudine, sognava di far uscire dal loro silenzio gli abitanti dell’isola dov’era stato bambino. Quell’uomo, un poeta, provò a bussare a tutte le case dell’antico borgo, piccolo nido protetto da quel nido più grande che era l’isola. Inutilmente. Nel silenzio delle calli e dei campielli si sentiva solo l’eco del suo bussare. Allora capì che era arrivata l’ora di lasciare l’isola e i suoi anni bambini e di avviarsi con coraggio verso strade sconosciute, se voleva spezzare il cerchio che lo teneva prigioniero di quel suo mondo di sassi. Quell’uomo era Biagio Marin che in una fiaba lirica autobiografica ( Stanco de solitae/ l’omo a batuo a la porta... ) narrò la condizione del poeta nella Grado di inizio Novecento mentre appunto cercava chi gli aprisse per ascoltare i versi scritti nel dialetto parlato da una minuscola comunità di pescatori in un’isola sperduta fra mare e laguna, poco conosciuta nel 1912 quando cominciava la grande avventura della poesia mariniana. Insomma, doveva proprio partire per andare a scoprire i suoi veri fratelli. Un’avventura diventata a poco a poco, nel tempo, nei 94 anni di vita di Biaseto (morto nel 1985) e anche dopo, assolutamente straordinaria tanto che le sue liriche e le sue parole si sono posate, come le foglie di un albero, dovunque negli angoli più impensati di città, paesi, contrade sconosciute. A proporre queste intuizioni e queste immagini splendide legate a Marin, a ciò che ha scritto e ci ha lasciato, è adesso Anna De Simone che ha curato il volume Cinquanta poesie per Biagio Marin , pubblicato per i Quaderni del Centro studi dedicato al poeta gradese, in una collana diretta da Edda Serra. È stato presentato nei giorni scorsi, esattamente il 29 giugno, anniversario della nascita di Biagio che così è stato festeggiato con una intensità naturale e sorprendente. All’origine del libro c’è proprio l’idea di completare quello che era nella mente del poeta che aveva voluto sfidare la solitudine, un destino, un mondo per far largo alle sue fragili, potentissime e magiche parole, che restarono sempre simili a quelle pronunciate dai bambini. «Altri poeti – scrive Anna De Simone -, seguendo anche inconsapevolmente le orme di Marin in quel loro silenzioso obbedire a una musa vestita di stracci, hanno raccontato, ciascuno nel proprio dialetto, la vita, il mondo, se stessi. Io credo che i cinquanta autori delle cinquanta liriche proposte in questa piccola antologia siano proprio i fratelli tanto a lungo cercati da Marin. Fratelli più giovani, provenienti da luoghi diversi, i cui testi in molti casi si spingono fino alle spiagge del terzo millennio». Si tratta, come spiega Edda Serra, di cinquanta voci che fanno coro per onorare Marin, voci di risposta oggi al suo canto e dialogo, ciascuno nella propria diversità, eppure coro compatto di voci scelte, a rappresentare cinquanta dialetti, cinquanta linguaggi poetici, cinquanta paesaggi, cinquanta piccole patrie, che sorprendono però nella loro unità. Un’unità fatta di fedeltà al poetare, di scelta coraggiosa, di cura amorosa e tenace della propria opera e del suo destino, che supera ogni narcisismo. Fra i cinquanta fratelli (e di ognuno è stata scelta una lirica), che rappresentano un po’ tutta l’Italia, tanti sono naturalmente i friulani, i bisiachi, i triestini, come Elio Bartolini, Luigi Bressan, Pierluigi Cappello, Ivan Crico, Nelvia Di Monte, Amedeo Giacomini, Claudio Grisancich, Federico Tavan, Umberto Valentinis, Ida Vallerugo, Gian Mario Villalta, Leonardo Zanier. Su ognuno di essi il libro propone un accurato apparato di note per cui l’antologia diventa alla fine uno sguardo appassionato e affidabile sulla condizione della poesia dialettale in Italia (narrata regione per regione) che, anche se pochi lo sanno al di là degli addetti ai lavori, sta vivendo un momento di particolare vivacità, in contrasto con l’apparente declino della poesia in genere. Anna De Simone, di origini siciliane, risiede a Milano e da sempre segue con grande attenzione i nostri autori avendo dedicato studi e saggi in particolare, oltre che a Marin, a Virgilio Giotti, a Cappello, Tavan e Vallerugo. Nel testo che apre questo suo nuovo libro, dopo aver ricordato lo straordinario impegno come poeta e scopritore di talenti di Amedeo Giacomini, che creò con la rivista Diverse lingue un punto di riferimento fondamentale per tutto il movimento di questi decenni, mette in luce in termini limpidissimi e definitivi un aspetto notevole, scrivendo: «Quello della poesia in Friuli nel secondo Novecento è un fenomeno che non ha precedenti e reclama un discorso a sé: questa terra ci ha dato infatti, nell’ultimo scorcio del XX secolo, assieme alla Romagna, il maggior numero di poeti di alto livello. Molti se ne sono accorti, pochi se ne sono occupati in maniera approfondita... I dialetti stanno morendo – su questo sono tutti d’accordo – ma la lingua friulana, nella molteplicità e ricchezza delle sue varianti, non aveva mai conosciuto in passato esiti tanto diversificati e originali, grazie ad autori che si sono collocati con decisione, consapevolezza e senso d’arte fuori dalle secche municipalistiche di troppa poesia dialettale, prima di Pasolini, per intenderci, e hanno raccontato con originalità, senza mai cadere nella maniera, la vita... Così i fili della poesia si sono diramati in tutte le direzioni lungo una terra il cui nome evoca un passato molto antico, e hanno creato un arazzo che più vario e ricco non potrebbe essere». «Io sono un golfo», disse un giorno Marin agli amici. E l’antologia che gli è stata dedicata assomiglia proprio a un golfo dove si intrecciano sguardi, talenti, lampi, parole perdute e ritrovate, le “parole di legno” evocate da Ernesto Calzavara. Questa musicalissima teoria di voci, lingue e suoni è aperta da una breve lirica scritta da Novella Cantarutti, un inno bellissimo in friulano per Marin, poeta fatto di mare e vento, mâr e buera , «fermo sull’onda dell’eternità». In conclusione del viaggio ci sono alcuni versi di Biaseto, quelli dove dice che nulla è passato e tutto vive ed è presente. Ninte no’ xe passào / e duto vive e xe presente / un sielo solo levante e ponente / un solo sol m’ha iluminào.


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