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31 dicembre, 2018

In Nome de Dio... Avanti!- Calendario 2019




Il Perdòn è nato per ringraziare la Madonna per la fine di una epidemia di peste nel 1237. In quell'anno gli abitanti di Grado, guidati dal Patriarca Leonardo Querini, promisero che avrebbero trasportato la statua della Madonna dal Duomo all' Isola di Barbana come ringraziamento per la fine di quella terribile epidemia. Originariamente la processione si teneva il 2 luglio e prevedeva il coinvolgimento di almeno un membro per ogni famiglia gradese.
Il nome Perdòn deriva invece dalla tradizione di accostarsi, in occasione del pellegrinaggio, al sacramento della riconciliazione.
E' da 780 anni che la barca ammiraglia ogni anno trasporta la Madonna a Barbana per assolvere il voto di comunità.
Le barche usate sono state innumerevoli, ricordarle tutte è impossibile, questo breve filmato vuole solo ricordarle usando le immagini di alcune come calendario partendo da una cartolina dei primi 1900 per finire con l' ultima barca Ammiraglia di questi giorni La Stella del Mare.
Il voto continua....."In Nome de Dio, Avanti!"

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28 dicembre, 2018

Regali sbagliati


Passato il Natale, scambiati i regali, a qualcuno capita che il regalo ricevuto non piaccia e riflette se scambiarlo con altri o  accantonarlo per buttarlo via in seguito.

Tempo fa In un mio momento di abbattimento, shakerato alla mia vecchia anima sparagnina che ha fatto capolino anche nel  dolore,  ho scritto questa poesiola per cristallizzare il momento di chi il regalo sbagliato lo ha fatto:



L’ oltro Nadal te he dao al gno cuor
No tu lo varà miga ghitao via?
Se fossa, tu te ricordi ‘ndola?
No sarave ‘na maravegia.
No restaravo nianche mal.
Se tu lo vissi ‘ncora tu,
tu me lo tornaravi per piasser?
No tu savivi che fatene:
a me, al me ocorarave, sa?
Sé…sé, no se domanda indrio i regali
Ma creo de ‘vè esagerao,
gera, disemo, un regalo impegnativo.

enio pasta

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25 dicembre, 2018

Bon Nadal Al Museo del Mare


Facciamo gli auguri anche  ad un vecchio amico che sta con noi ormai da 30 anni con le parole di:
 Giovanni Marchesan "Stiata"



Co belo "il Museo del Mare"

de fora
al ze duto un specio.

- e la nave antiga?-

I la mete
cò 'l museo diventa vecio

G.Stiata

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22 dicembre, 2018

Nebbia in Laguna


Ieri mattina la nebbia è arrivata così: zac zac zac e ha avvolto tutto. 

Come una gigantesca carta da pacchi ha imballato ogni cosa: alberi, case, il paesaggio in blocco.

C’è sempre lo stupore alla prima nebbia. 

Puoi esserci abituato quanto vuoi, ma ti sorprende. 

Quell’essere circondato da cose che non riconosci più e non senti più tue perché diverse ed indefinite. 
Il senso di spiazzamento che fa perdere i contorni ed i confini.

Non so se mi piace la nebbia, non l’ho mai capito. 
Mi affascina quel suo sfilacciarsi come lo zucchero filato, appiccicarsi alle cose e deformarle, renderle sfumate; il suo costringerti ad esercitare la memoria e la fantasia per ricostruire la mappa delle tue abitudini, fatta di strade note e di angoli conosciuti. 
Mi piace il suo pervadere tutto, per cui il dentro e il fuori si confondono nell’umidore ghiacciato di un’acqua che non è acqua, è vapore. 
Mi piacciono le gocce che fanno le equilibriste sulle ragnatele, sospese nel nulla.

Ma io  amo i contorni certi, e mi faccio sempre sorprendere ed affascinare da ciò che certo non è, da ciò che non è conforme, da ciò che è imprevisto. 

Mi lascio affascinare, con il naso attaccato alla finestra, dalla nebbia  che è questo mare di possibilità sospeso nel nulla, e spesso, come le possibilità, svanisce subito nel niente.

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19 dicembre, 2018

Un Bambino occidentale scrive a Babbo Natale


Caro Babbo Natale, ho pensato molto alla lettera che ti voglio spedire, in particolare alla lista dei regali che vorrei ricevere, e insomma, quando gliel'ho mostrata anche mia sorella me l’ha detto, può essere che abbia esagerato, con tutta quella roba che vorrei, sul serio, forse mi sono fatto prendere la mano, come si dice.

Allora facciamo così:  tolgo qualcosa dalla lista, se per te va bene. 

È anche più giusto verso gli altri bambini, può darsi. 

In cambio vorrei che Tu togliessi  anche la fame nel mondo, che poi dovrebbe essere tutta in Africa - così dicono - se riesci tutta l’Africa bene, sennò niente, perché se la togli solo in certe zone poi secondo me litigano e si fanno la guerra ed è peggio. 

E poi, quei bambini, anche molto piccoli, costretti a lavorare, sfruttati come schiavi, quelli aiutali tutti, se ce la fai,  a parte quelli che devono farmi l’ iPhone che ti ho chiesto. 

Quelli li lasciamo per l’anno prossimo magari.

Grazie.

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16 dicembre, 2018

I camini del Castrum




Nella foto  camini disegnati dal Prof. Aldo Marocco tratto dalla sua pubblicazione-      I Camini Veneti del 1991

Conoscere il mio paese, per me è sempre stata una necessità, la mia curiosità mi ha sempre spinto ad approfondire scegliendo un punto di vista dal basso, a livello della gente, perchè ho notato che tutto quello che è stato scritto sul nostro paese (non è molto) è stato più o meno calato dall' alto di un livello culturale fuori portata della gente comune ( e quasi sempre fatto pesarementre la parte storica vissuta e quindi più vera ed interessante è quella popolana.

E' li che si trovano le storie i miti le consuetudini, ed è là che io mi oriento nel ricercare piccole gemme della storia graisana.

Mi è capitato in mano  il  libro del Prof. Aldo Marocco  "Camini Veneti" e leggendolo, assieme al gran dolore e senso di perdita profondo dovuto alla sua scomparsa, mi è venuta voglia di "caminà per le Cube" con il naso all' insù - una cosa che consiglio, fa bene alla cervicale oltrechè all' anima - ad osservare quel che è rimasto di quei camini che Aldo ha disegnato con grande maestria ed amore.
Il risultato è stato piuttosto deludente, dei grandi e complessi camini di un tempo non c'è più traccia, sostituiti da anonimi e banali (ma più funzionali e sicuri) camini in cemento, il che mi fa riflettere sul grande cambiamento avvenuto nel nostro Castrum; le case rifatte, tutta un'aria di nuovo, di trucchi e belletti, muri dipinti, "barcuni" senza le "gelosie", insomma spersonalizzato - senza anima.

E si!
Tutto questo riflette il cambiamento avvenuto sul concetto di casa, per noi "moderni" solo un luogo da abitare, un tempo centro sociale, di lavoro, dove si concentravano affetti e proprietà della famiglia.

Il punto è proprio la Famiglia, è fondamentale nella nostra cultura, ma è un' istituzione che si sta indebolendo. 

Il Focolare - "fogoler" - nella civiltà dei pescatori e contadina è sempre stato il simbolo dell'aggregazione familiare, del calore umano, delle storie raccontate ai bimbi, l'antico luogo di riunione per le strategie di lavoro e di famiglia.

La sua presenza all'esterno dell'abitazione era espressa dai camini che spesso erano il biglietto da visita delle abitazioni.

La parte storica di Grado presenta una miriade di forme di camini tutte diverse, perché i capomastri, pur rispettanto una tradizione antica, si sbizzarrivano nella loro costruzione e le personalizzavano, ora piano piano sostituite da forme più moderne ma anonime. 


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14 dicembre, 2018

Che Anni Mamuli, che anni


No! non è stato un anno granchè buono, anzi, ci sta lasciando a tasche vuote come il pescatore della foto (scattata nel 1911).


In queste condizioni il potere costituito è sempre  nel mirino della gente che ha bisogno di trovare un colpevole dei guai che sta passando e ho riscontri che nel  passato le cose erano simili.

Lo chiarisce questa poesia di Domenico Marchesini (Menego Picolo) che nasce a Grado nel 1850 e vi muore nel 1924, figlio della Grado storica poco conosciuto perchè purista del dialetto antico, attraverso i suoi scritti riusciamo a conoscere l'arcaismo dialettale del vero proto veneto graisan che evita con grande attenzione le contaminazioni del giuliano triestino, proponendo con forza la vigoria del dialetto autentico graisan.

Più che "rappresentarlo" Domenico Marchesini ci "presenta" il microcosmo gradese: un nucleo la cui struttura sociale si esaurisce in pochi elementi: i pescatori di mare e di laguna, gli artigiani e i renaioli. 

Gli artigiani allora si chiamavano "artisti", ed erano artisti che per poter vivere in quella società costruita su un'economia basata sul castrum, del tipo più primitivo dunque, erano spesso costretti a esercitare più "arti" contemporaneamente.
Oltre a ciò, Menego era molto caustico con il potere costituito e non risparmiava nulla e nessuno, non avendo un grande opinione dei cosiddetti:

"Omini insigni"


Che issah val le case
 E i so fundi se sa. 
E ze una vergogna
 De i comandauri 
Che 'i sente e no 'i bada 
Cunsilgi e clamuri, 

Qua, colpa ste suche 
Ze aval monarchia 
Che ‘l pie in Muniçipio
 Va per denastia; 
Scrivan, podestae,
 Deputai ze un'union

E quisti ogni totolo 
Gode a so bon. 
Sti doti riginti, 
De sienza, ben digo, 
Sti 'nsiti adorai 
Fra tanto caligo, 

Cu sa afah la soma, 
Cu afah ‘l calegher, 
Cu 'ntaca butuni,
Cu fa ‘l campaner. 

Si queste sapienze 
De laura e çitae 
Che al zuogo de stropa
 'Le ze 'ndotorae 
'Le sta in sta baraca 

De Ufissio che ‘l val 
Per regehne a causa 
E pro de ‘l pivial. 

Un minimo di glossario perchè il dialetto usato dal Marchesini è veramente ostico

ze aval monarchia: sembra una monarchia; 
va per denastia: La tradizione  ricorda le famegie de la bala de oro (la bala con cui si esprimeva il voto nel Consiglio), "le quali per antico privilegio si tramandavano il diritto di occupare le cariche supreme"
ogni tòtolo: diminutivo di toto 'chicco', 'grano' (es. i toti del Rosario); la stessa parola indica però anche quell'insetto grigio scuro di forma ovoidale che a Grado era frequente abitatore dei pianterreni umidi e bui: oniscus murarius 'anisca'. 
Il 'nsiti: insetti. 
caliga: nebbia, fumo; qui 'incensamenti' e sim.; è il latino caliga 'caligine'. la soma: la somma. 
'ntaca butuni: attacca bottoni, cioè fa il sarto.
de laura e çitae: laureati e cittadini. 
zuogo de stropa: un gioco di carte. 
'ndotorae: gioco di parole tra il significato concreto 'laureate' e l'allusione a una modalità del gioco di carte, per cui chi perde e vuoI continuare a giocare deve pagare di nuova la posta. 
che 'l val: buono solo a .. 
de 'l pivial: della chiesa e dei clericali. 


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11 dicembre, 2018

Lorenzo Boemo e i suoi Presepi


Il Nostro artista preferito Lorenzo Boemo espone i suoi presepi a Massa Martana (Umbria) e a Villa Manin presente in una selezione dei migliori del Friuli Venezia Giulia.
Questa la presentazione critica del suo presepio a Villa Manin:

Il Maestro Lorenzo Boemo stupisce nuovamente per l’effetto spettacolare del suo presepe, di ispirazione bizantina nei tratti e francescana nei contenuti. 
Nei diversi piani scenici, nelle tavole di legno sapientemente dipinte dall’autore, riprende vita la rievocazione della nascita di Gesù che San Francesco, il Poverello d’Assisi, nella famosa notte di Natale del 1223, commemorò nel corso di una rappresentazione vivente a Greccio. Secondo le agiografie, durante la Santa Messa, il putto raffigurante il Bambinello avrebbe preso vita più volte tra le braccia di Francesco.
 Da questo episodio ebbe origine la tradizione del presepe.
Presepi in Friuli Venezia Giulia
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09 dicembre, 2018

Arriva il regalo di Natale- Un Povero Cristo


Si   avvicina il Natale, e via tutti a parlare di Presepi, della nascita del Cristo, eppure eppure non è tempo di letizia.

Si invocano le radici cattoliche ma oggi, quando si parla di radici, non è per unire, ma per separare. 

Le radici cristiane tanto invocate da tutti a tutela della nostra tradizione impediscono di vedere in altri il volto di quel (povero) Cristo davanti alle cui immagini piamente ci s' inchina. 

Poveri cristi sono i licenziati cui nessuno bada, derisi con la corona di spine dell'indifferenza e, addirittura, dell'inesistenza; di loro non si parla, anzi, la crisi sarebbe addirittura finita: la loro vita, quindi, non è una croce.

Gente che aspetta gli stipendi da mesi... come se fossero fatti d'aria". 
"Fatti d'aria", un'immagine forte proprio per il suo evocare l'inconsistenza; eppure l'aria è presente, l'aria fluttua, cova, scalcia, strepita, grida. 
L'aria può esplodere e, realmente, distruggere tutto.

Poveri cristi sono i precari della scuola che, giunti stracciati alla soglia dei cinquant'anni, sono ancora là a  sperare in un posto fisso.

Poveri cristi sono i giovani e i senza diritti.
La nostra società esalta astrattamente la gioventù  ma annichilisce i giovani; spezzandone i sogni, decurtando loro le future (Sic) pensioni, costringendoli a navigare a vista nel mare fangoso d'una quotidianità avvilente, consci che nulla potrà cambiare, che la parola futuro è loro preclusa.

Povera Crista è questa democrazia in agonia.

Poveri cristi sono i milioni di poveri, un record negativo mai toccato da settant'anni a questa parte. 

Qualcuno sostiene che la speranza può arrivare dalle donne. 

Ma le donne sono le povere criste per eccellenza.
Tartassate, picchiate, uccise.
Preparandoci al Natale e ricordiamoci che  la croce del Cristo la si porta o la si aiuta a portare.  
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07 dicembre, 2018

L' ego volante





C'era una volta in un Paese di fiaba un uomo che aveva un' enorme opinione di se.

Non era una persona cattiva, ma aveva un ego talmente grande che lo copriva alla vista altrui. 
La gente guardava quel gigante e credeva si trattasse di lui.
All'inizio era bello e rassicurante nascondersi dietro come fosse un'armatura. 
Ma nessuno riusciva a vederlo veramente là dietro e, cosa peggiore ancora, lui non riusciva a vedere nulla di quello che succedeva.
Ogni tanto lo sgonfiava, quell'ego, con una spillonata di acume intellettuale, per provare l'illusione di sentirsi umile.
Ma lui ricresceva nottetempo.
Sempre.
E sempre più grosso.
Era diventato talmente grosso, il suo ego, che non riusciva più nemmeno ad entrare nelle conversazioni altrui, e vi assisteva sconsolato e tronfio dall'esterno, urlando impettito il proprio parere come se importasse davvero a qualcuno di ascoltarlo.
Una mattina si destò e lo vide troneggiare sopra lui, immenso come un dirigibile e altrettanto leggero, occupava tutto il cielo. 
Si accorse che stava decollando: il suo ego se ne stava andando! 
Lo prese all'improvviso l'inesprimibile terrore di rimanere lì da solo senza difese, piccolo e nudo di fronte a tutti. 
Allora gli si attaccò con tutto il suo peso cercando di tenerlo a terra, cercò disperatamente di dire qualcosa di acuto e pungente per forarlo e farlo sgonfiare, ma non gli veniva in mente nulla, nulla di nulla.
Allora si attaccò alla prima cosa che gli capitò tra le mani, il tetto di un albergo. 
S' avvide con orrore che l' albergo si allungava, si allungava quasi staccandosi da terra e prese ad agitarsi ancora più freneticamente.
"Cosadevofarecosadevofarecosadevofare?" 
Erano alti ora, almeno una trentina di metri, e continuavano a salire. 
Esausto, rimase a fissare la gigantesca ombra che correva rapida tra la città e i dossi e i canali, mutando continuamente forma.
Per consolarsi pensò "Almeno vedrò le stelle!  L'ho sempre desiderato!" poi guardò l'immensità del firmamento e pianse un pochino mentre il sopravvenire delle vertigini gli imponeva i consueti conati.
Era quasi l'alba quando diventarono un puntolino lassù, in mezzo a molti altri e sparirono completamente alla vista.
Ora nel Paese di Fiaba stanno aspettando il prossimo!




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04 dicembre, 2018

Comunicazione e sogno


Il    modo di comunicare del nostro mondo cosiddetto moderno è profondamente cambiato, nuovi linguaggi ci fanno percepire le cose diversamente, la globalizzazione - il mondo in uno smartphone - riducono le distanze, tutto è fattibile, raggiungibile.

Il futuro poi ci permetterà di utilizzare mezzi che dieci anni fa conoscevi solo attraverso i romanzi di fantascienza, la connessione in mobilità (altro modo di descrivere l’ uso dello smartphone) farà si che si possa raggiungere tutto quello che vogliamo conoscere e le persone che vogliamo con noi, ovunque.

Questo però pone una serie di limitazioni o perlomeno cambia l’ approccio umano alla tecnologia utilizzabile.

Perché le informazioni possano girare velocemente e siano fruibili devono essere compresse, impoverite, si verifica dunque che non ti accorgi più della consistenza del terreno su cui cammini perché lo fai troppo velocemente.

Il cambio culturale è evidente - tutto è leggero, etereo, con pochi dettagli, poco sentito, qualitativamente inconsistente ma fruibile.

Vale per le immagini che girano in rete, per i video, per la musica e purtroppo vale anche per le emozioni, diluite da un eccesso di offerta che ti spinge a scartare una quantità enorme di dati per soffermarti sul particolare, in generale sul tuo particolare.

Finirà che tutto questo  poter sapere ci impedirà di pensare perché il farlo potrebbe confonderci le idee.

Ci impedirà di sognare perché se tutti parlano di sogni prima o poi ci  sveglieremo molto lontani dai sogni che avevano da ragazzi, sogni che conditi da un’ informazione troppo invadente, potrebbero diventare incubi.

Sapevatelo!

Sogno
una volta he sognao de volà.
un sburton de gambe, 
un tuffo in aria
e po nuà sospeso
a tanti metri de tera!

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01 dicembre, 2018

Bando del Festival 2019


E'  tempo di Festival, Leonardo Tognon mi ha inviato il bando per l' iscrizione al Festival della Canzone Gradese, è la 53° Edizione, leggetelo e preparatevi:


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30 novembre, 2018

Monsignor Michele Centomo



Premetto che che ho ben pochi titoli per anche semplicemente descrivere un personaggio complesso come il nostro Monsignore, ma mi è capitato in mano un suo scritto pubblicato sul libello periodico di Grado Nostra e mi ha colpito il tema e le considerazioni profonde espresse che posso dire di condividere pienamente.
Ho pensato allora che le incomprensioni iniziali raccolte qua e là per le Cube tra popolo Graisan e il suo Pastore di anime possano derivare dalle descrizioni sbagliate che sono state fatte a noi della figura di Don Michele operante ad Aquileia e a Don Michele della spigolosità della nostra Comunità.
Penso ad un matrimonio combinato da altri dove sposo e sposa, con caratteri forti e marcati, non si conoscono e hanno bisogno di tempo per farlo pienamente.
E' il nostro Monsignore, il tempo sarà galantuomo e smusserà gli angoli, e visto che non mi è capitato prima di farlo gli do il mio:
 Benvenuto Don Michele

Leggiamo il suo messaggio di Comunità

COSTRUIRE IL SENSO DI UNA COMUNITA’

“Ogni volta che partecipo ad un incontro, un convegno, una giornata di studio su temi legati all’uomo o alla società sento emergere alcune parole, sempre le stesse: individualismo, solitudine, assenza di relazioni. Questi concetti vengono ripetuti sia che si parli di giovani che di anziani, di persone sane o di malati, di italiani o di stranieri. Sono convinto che molta verità sia presente in queste valutazioni: la nostra società oggi rischia di promuovere un certo individualismo che genera solitudine, malessere, egoismo. Parlando con molte persone, tante mi manifestano una sorta di nostalgia di vita comunitaria, semplice, una voglia di famiglia e di rapporti familiari affettuosi, attenti, capaci di prendersi cura gli uni degli altri” (Mons. Nicolò Alsemi, vescovo ausiliare di Genova, in L’Abbraccio, 2018).

Non vi è dubbio che la persona umana sia fatta per la dimensione comunitaria; ogni persona ha bisogno di donare amore e di essere amata, di essere capita, accolta, di curare e di essere curata. La regola della comunità è l’amore, il bene dell’altro. La dimensione comunitaria è una ricchezza, in ogni circostanza.

Le cose fatte insieme sono più belle, più ricche, più varie, più divertenti, più efficaci e coinvolgenti di qualunque altra cosa, anche di quella progettata dal più geniale degli artisti sociali. La comunità ha bisogno di tutti, tutti sono importanti e in questa importanza riscopriamo la nostra bellezza. Una comunità vera è una ricchezza anche per le altre persone, per chi è esterno alla comunità; è una fonte capace di dissetare anche altri che ad essa si avvicinano, assetati e incuriositi; l’amore e la luce che nascono da una comunità scaldano ed illuminano il freddo di molte tenebre. Tutti possiamo essere costruttori di comunità: sarebbe la più grande opera che possiamo fare. E, forse, qualcosa del genere doveva aver compreso anche Giovanni, quel Natale di alcuni anni fa. Quando Babbo Natale tirava fuori i pacchetti, Giovanni si avvicinò al volontario seduto accanto a lui, quasi schernendosi: «a me non mi conosce nessuno – sibilò tra i denti – per me regali non ce ne sono». Ma quando dal sacco emerse l’ultimo regalo e sopra vi vide scritto “Giovanni”, gli occhi di quell’omone, indurito dalla vita per strada, si riempirono di lacrime: «questo disse – dev’essere il regalo di Dio, perché solo Dio conosce il mio nome».

Conoscerci “per nome”, è il senso più alto per costruire comunità di relazioni: Grado e Fossalon.

Sac. Michele Centomo


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27 novembre, 2018

1900- Il Secolo dell' Acqua


La storia di Grado (vista con gli occhi di Giovanni Marchesan "Stiata) cambia radicalmente rotta sul finire del 1800 con un Imperial Decreto:
“Spiaggia dell’Imperatore”, l’arenile principale dell’Isola: il 25 giugno 1892 fu l’Imperatore Francesco Giuseppe, su indicazione della “Dieta della Principesca Contea di Gorizia e Gradisca”, a promulgare la legge istitutiva e con essa a far decollare i successi turistici di Grado

Telegram! -- ISOLA- DI- GRADO-DIVENTA- SPIAGGIA -DI-NOBILTA'-GRADO-IST-STRAND-FON-WIEN...STRAND FON WIEN
capito bene? Spiaggia di Vienna non del vino!

E fu così che tutta la nobiltà della capitale Asburgica si dette convegno a Grado per i bagni e le cure di stagione!
Davanti a questo Adriatico Blù...ADRIA BLAU, così veniva chiamato il nostro mare da Franz Joseph, Sissy und Compagnia, Wundershon!

Tutto accelerò nel nostro piccolo borgo di pescatori che si avviavano alla completa emancipazione.

Il vino, il canto, le belle donne, , ma una nobiltà magnifica, educata ed estremamente igienica  in mezzo a tanta acqua salata avvertiva, in loco, la mancanza di acqua potabile.

Siamo così al 1900, nuovo secolo denso di cambiamenti epocali, fu scavato un pozzo e l' acqua dolce irruppe e fu festa per quasi tutti.

"Ancora un litro de quel bon" si cantava per le ostarie, l' acqua fa croti in pansa, l'acqua marsisse i pali, l' acqua fa mal! megio al vin ze più natural!.

L' acqua sgorgava dalle fontane della piazza del paese, leggera, pura e un poco odorosa di Palude, tiepidina, anzi calda!  W l' acqua.
Fu così che da queste parti fu scoperta l' acqua calda, la prima volta di altre mille.

Così dopo per generazioni 've bevuo vin, Viva la mineral wasser, l' acqua santa, l' acquagranda.
Ora che l' Isola aveva tutti i servizi, i foresti incominciarono a costruire Hotel, ville, giardini fioriti ed il numero degli ospiti andò aumentando di anno in anno, così come i prezzi e le statistiche dell' Ente turistico.

E finalmente gli indigeni del luogo, uscirono dal loro isolamento abbandonando le Lagune, la pesca, il mare crudele.
Tutti arrivarono alla scoperta del turismo e ci fu l' emancipazione per le nostre genti.

Una nuova vita emancipata! Wundershon! perfin i casoneri i ha imparao a dì.


Cù fita la casa, cù fita 'l caìcio 
Cù vende tirache, cù fà quel che pol. 
Un mostra le cese, un verze 'n uficiò 
Per vende calìgo... al posto de 'l sol! 

...la storia continua... 
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24 novembre, 2018

Vecchi ricordi - Lucciole

Quand'ero bambino  abitavo in Via Tiepolo  accanto alla diga.
Dietro la nostra casa c'era un prato che per tutti noi bambini era semplicemente "l'erba".
D' estate i nostri genitori ci consentivano di restare fuori casa anche nella prima serata, e tutti noi ci si ritrovava sull'erba per giocare e correre, sognando battaglie perlopiù.
Verso l' estate di  S.Giovanni qualche volta quando la luce, non che ce ne fosse molta in generale, veniva meno ed il buio si faceva più profondo, miracolo, il prato - tutta l' erba - si accendeva di uno scintillio mobile.

Le lucciole splendevano e tutti , pur sapendolo, ci fermavamo di botto incantati ad osservarle.
Ma era un attimo, superata l' estasi del miracolo avvenuto, sciamavamo tutti con le scatolette di cerini svedesi forate che avevamo in dotazione per  per catturale.
Subito dopo a casa le mettevo dentro ai vasi di vetro che mia madre usava per le conserve e me le portavo a letto per avere compagnia nel buio della camera.

Lucciole - Onserne in graisan - compagne di giochi, luce per tranquillizzare noi bambini, ricordi lontani di una vita più semplice dove potevi fare il bambino e sognare.

Il dialetto gradese accomuna con lo stesso vocabolo "Onserna" la lucciola un insetto , la lucerna un oggetto e la lucerna un  pesce detto anche l' anzolo

Sapevatelo!


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20 novembre, 2018

Il Banco della Mula di Muggia.



Il Banco della Mula di Muggia.

La Bora ruggisce sul Banco, là su la Mugia, si spacca l'acqua.

La serie di grandi banchi di sabbia davanti alla Pineta, al largo a circa 1,5 miglia dalla costa, hanno nome "la Mula di Muggia" o in gradese "la Mugia"
La cartografia e i rilievi recenti attestano che il Banco è in continua evoluzione: in 100 anni ha modificato la sua forma superficiale, avvicinandosi alla costa e contemporaneamente migrando sempre più verso Ovest.
 Pertanto si può considerare il prodotto di un processo trasgressivo, che ha interessato parte dei vecchi depositi deltizi isontini, come anche quelli più recenti, e che attualmente modifica la sua forma in funzione delle caratteristiche dei venti regnanti e dominanti in zona. 

Formatisi per il gioco di correnti marine che spingono le sabbie provenienti dall'Isonzo verso ovest formando una formidabile barriera che difende la pineta dallo scirocco, con l'effetto collaterale però di provocare l'impaludamento della parte terminale che finisce con la spiaggia di Pineta.

Grandi depositi di molluschi di tutti i tipi, ma soprattutto di vongole e capelunghe, sono stati per decenni il luogo di lavoro per le nostre mamme e nonne che integravano così i magri guadagni degli uomini in mare.
da la Mugia, sui Dossi de l'Oro, dal Tragio de Anfora
Le Bianchine, le Pititele, le Ciode le Balanse le Pelote le Farinele le Trotole, le Bele, le Zuliani, le Dotore e tante altre. 
Con le batele cò i tricicli, a pie con ogni tempo, infermabili.

Quello che incuriosisce è l' origine del nome Mula di Muggia.

Una risposta pragmatica la da il Dott. Ferruccio Degrassi, descrivendo nel suo libro "All' ombra di S.Michele"  il dorso di mulo (mula) che forma il lato terminale del grande dosso e la direzione dello stesso da Grado verso Muggia guardando dalla diga del paese.

Una risposta più romanzesca e tragica la da la tradizione orale popolare che racconta della tragedia di un padre muggesano che portava un carico di vino a Grado accompagnato dalla figlia sedicenne e naufragato per un improvviso temporale sui quei banchi esterni.

Lui si salvò ma perse la figlia che non fu mai più ritrovata, da cui la dedica del nome Mula di Muggia.


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18 novembre, 2018

Storie di un tempo attorno al fuoco


Benedizione delle barche sulla diga foto Archivio Marocco
Tempo di bora, tesa e fredda un tempo di storie attorno al fuoco o perlomeno vicino ad uno "spagher".
Così la famiglia gradese di non tanto tempo fa viveva raccolta e stretta in casa .
 i nonni  non  sempre avevano voglia ne tempo di raccontare storie ai nipoti, ma qualcuno più versato e fantasioso di altri c'era.

Di queste storie alla buona mai trascritte e solo tramandate a parola resta qualche traccia che con un po di fortuna riesco a trovare e registrare sul web in modo che siano a disposizione di chiunque voglia raccontarle, questa è la storia ( mi raccomando è una storia non la verità, senza certezze:

Paron Piero.

Un tempo i pescherecci non entravano in porto se non in casi di pericolo e venivano ormeggiati sulla diga esterna ognuno ad un posto assegnato che di solito era una grossa pietra frangiflutti.
Paron Piero aveva una strana consuetudine, quando toccava terra, legata la sua barca, la salutava prima di lasciarla, come fosse una creatura:
"Buona sera barca mia"

Paron Piero era vedovo ed era padre di una giovane donna di nome Bettina in età da marito, un giovane gradese pescatore di nome Donato le faceva la corte, ricambiato, ma il Padre non voleva saperne, senza grandi motivi aveva preso in antipatia il giovane e ordinò alla figlia di non frequentarlo e guai a parlargli.

Donato tentò in vari modi di approcciare il Paron Piero, ma niente, lo faceva infuriare ancor più la sua insistenza.

Consigliato di sfruttare la mania di Paron Piero di parlare alla propria barca da un vecchio saggio, Donato una sera dopo  il tramonto si nascose proprio dietro la pietra d' ormeggio della barca di Paron Pietro e ne attese l' arrivo.

Fattosi buio Paron Pietro attracca e lega la barca e come al solito la saluta:
Buona sera barca mia.
E Donato a voce bassa:
Buona sera Paron Piero
Il pescatore resta di sasso e tutto spaurito si domanda:
E' Dio o il Diavolo che mi parla?
Nè Dio nè Diavolo, sono un Angelo mandato dal cielo perchè facciate sposare Bettina con Donato che è un bravo figlio.
Al Pol Tossela, urlò a quel punto Paron Piero, al pol Tossela.

Appena arrivato a casa con il cuore in gola, mandò subito a chiamare Donato e acconsentì al matrimonio dei due ragazzi.

Io credo che se avesse avuto ancora un figlia l' avrebbe data anche quella in sposa a Donato.

Con la solita formula del tempo, "E vissero felici e contenti", si chiude la storia.  
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