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30 novembre, 2018

Monsignor Michele Centomo



Premetto che che ho ben pochi titoli per anche semplicemente descrivere un personaggio complesso come il nostro Monsignore, ma mi è capitato in mano un suo scritto pubblicato sul libello periodico di Grado Nostra e mi ha colpito il tema e le considerazioni profonde espresse che posso dire di condividere pienamente.
Ho pensato allora che le incomprensioni iniziali raccolte qua e là per le Cube tra popolo Graisan e il suo Pastore di anime possano derivare dalle descrizioni sbagliate che sono state fatte a noi della figura di Don Michele operante ad Aquileia e a Don Michele della spigolosità della nostra Comunità.
Penso ad un matrimonio combinato da altri dove sposo e sposa, con caratteri forti e marcati, non si conoscono e hanno bisogno di tempo per farlo pienamente.
E' il nostro Monsignore, il tempo sarà galantuomo e smusserà gli angoli, e visto che non mi è capitato prima di farlo gli do il mio:
 Benvenuto Don Michele

Leggiamo il suo messaggio di Comunità

COSTRUIRE IL SENSO DI UNA COMUNITA’

“Ogni volta che partecipo ad un incontro, un convegno, una giornata di studio su temi legati all’uomo o alla società sento emergere alcune parole, sempre le stesse: individualismo, solitudine, assenza di relazioni. Questi concetti vengono ripetuti sia che si parli di giovani che di anziani, di persone sane o di malati, di italiani o di stranieri. Sono convinto che molta verità sia presente in queste valutazioni: la nostra società oggi rischia di promuovere un certo individualismo che genera solitudine, malessere, egoismo. Parlando con molte persone, tante mi manifestano una sorta di nostalgia di vita comunitaria, semplice, una voglia di famiglia e di rapporti familiari affettuosi, attenti, capaci di prendersi cura gli uni degli altri” (Mons. Nicolò Alsemi, vescovo ausiliare di Genova, in L’Abbraccio, 2018).

Non vi è dubbio che la persona umana sia fatta per la dimensione comunitaria; ogni persona ha bisogno di donare amore e di essere amata, di essere capita, accolta, di curare e di essere curata. La regola della comunità è l’amore, il bene dell’altro. La dimensione comunitaria è una ricchezza, in ogni circostanza.

Le cose fatte insieme sono più belle, più ricche, più varie, più divertenti, più efficaci e coinvolgenti di qualunque altra cosa, anche di quella progettata dal più geniale degli artisti sociali. La comunità ha bisogno di tutti, tutti sono importanti e in questa importanza riscopriamo la nostra bellezza. Una comunità vera è una ricchezza anche per le altre persone, per chi è esterno alla comunità; è una fonte capace di dissetare anche altri che ad essa si avvicinano, assetati e incuriositi; l’amore e la luce che nascono da una comunità scaldano ed illuminano il freddo di molte tenebre. Tutti possiamo essere costruttori di comunità: sarebbe la più grande opera che possiamo fare. E, forse, qualcosa del genere doveva aver compreso anche Giovanni, quel Natale di alcuni anni fa. Quando Babbo Natale tirava fuori i pacchetti, Giovanni si avvicinò al volontario seduto accanto a lui, quasi schernendosi: «a me non mi conosce nessuno – sibilò tra i denti – per me regali non ce ne sono». Ma quando dal sacco emerse l’ultimo regalo e sopra vi vide scritto “Giovanni”, gli occhi di quell’omone, indurito dalla vita per strada, si riempirono di lacrime: «questo disse – dev’essere il regalo di Dio, perché solo Dio conosce il mio nome».

Conoscerci “per nome”, è il senso più alto per costruire comunità di relazioni: Grado e Fossalon.

Sac. Michele Centomo


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