Ieri mattina la nebbia è arrivata così: zac zac zac e ha avvolto tutto.
Come una gigantesca carta da pacchi ha imballato ogni cosa: alberi, case, il paesaggio in blocco.
C’è sempre lo stupore alla prima nebbia.
Puoi esserci abituato quanto vuoi, ma ti sorprende.
Quell’essere circondato da cose che non riconosci più e non senti più tue perché diverse ed indefinite.
Il senso di spiazzamento che fa perdere i contorni ed i confini.
Non so se mi piace la nebbia, non l’ho mai capito.
Mi affascina quel suo sfilacciarsi come lo zucchero filato, appiccicarsi alle cose e deformarle, renderle sfumate; il suo costringerti ad esercitare la memoria e la fantasia per ricostruire la mappa delle tue abitudini, fatta di strade note e di angoli conosciuti.
Mi piace il suo pervadere tutto, per cui il dentro e il fuori si confondono nell’umidore ghiacciato di un’acqua che non è acqua, è vapore.
Mi piacciono le gocce che fanno le equilibriste sulle ragnatele, sospese nel nulla.
Ma io amo i contorni certi, e mi faccio sempre sorprendere ed affascinare da ciò che certo non è, da ciò che non è conforme, da ciò che è imprevisto.
Mi lascio affascinare, con il naso attaccato alla finestra, dalla nebbia che è questo mare di possibilità sospeso nel nulla, e spesso, come le possibilità, svanisce subito nel niente.
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