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26 febbraio, 2019

Le Famegie de la Bala de Oro


L' organizzazione della cosa pubblica nella Grado medievale ricalcava gli schemi di quella veneziana. 
Il Conte di Grado veniva eletto dal Doge ma il Consiglio e i maggiori incarichi di governo venivano ripartiti dalle famege nobili, che si tramandavano i privilegi da padre in figlio. 

Tali famege per la nomina a Consigliere stabilirono delle regole, che in qualche modo sopravvivono tutt'oggi in certe Associazioni:


1- essere originario di Grado
2- essere figlio di matrimonio legittimo
3-poter vantare servigi resi dalla famegia alla Patria

Venivano dette le famege dalla Bala de oro per il loro privilegio prevaricante nel voto del Consiglio.


I nomi di queste famege.
Corbatto, Degrassi, Marchesan, Maran, Marin, Burchio e Merlato.
Le ultime due sono estinte, ma ricordate  con l'intestazione di due calli.

Una casta vera e propria che ha governato Grado a lungo.


Ovviamente, seguendo la classica inclinazione gradese dell' avversione verso chi governa, erano invise e guardate male dal popolume.
Le dicerie sul loro conto si sprecavano, non c'erano i mezzi moderni ma la lingua "embolica"  saettava per le cube strette e buie.
Ovvio che  ricambiavano ampiamente con il disprezzo verso tutto quello che odorava di povero.
(qualche rimasuglio di questo atteggiamento olezza ancora in giro per le cube)

Menego (Picolo) Marchesini con il suo scrivere caustico dipinge così i loro diritti  di casta:
E ze una vergogna
 De i comandauri 
Che 'i sente e no 'i bada 
Cunsilgi e clamuri, 

Comò fra i litizi 
Co torto O razon 
Per quel Batistuta 
Che ze al Fossolon. 
* * * 
Qua, colpa ste suche 
Ze aval monarchia 
Che 'l pie in Muniçipio
 Va per denastia; 

Scrivan, podestae,
 Deputai ze un'union
E quisti ogni totolo 
Gode a so bon. 

Sti doti riginti, 
De sienza, ben digo, 
Sti 'nsiti adorai 
Fra tanto caligo,

Cu sa afah la soma, 
Cu afah 'l calegher, 
Cu 'ntaca butuni,
 Cu fa 'l campaner. 

Si queste sapienze 
De laura e çitae 
Che al zuogo de stropa
 'Le ze 'ndotorae 

'Le sta in sta baraca 
De Ufissio che 'l val 
Per regehne a causa 
E pro de 'l pivial. 

Un minimo di glossario perchè il dialetto usato dal Marchesini è veramente ostico

ze aval monarchia: sembra una monarchia; 
va per denastia: La tradizione  ricorda le famegie de la bala de oro (la bala con cui si esprimeva il voto nel Consiglio), "le quali per antico privilegio si tramandavano il diritto di occupare le cariche supreme"
ogni tòtolo: diminutivo di toto 'chicco', 'grano' (es. i toti del Rosario); la stessa parola indica però anche quell'insetto grigio scuro di forma ovoidale che a Grado era frequente abitatore dei pianterreni umidi e bui: oniscus murarius 'anisca'. 
Il 'nsiti: insetti. 
caliga: nebbia, fumo; qui 'incensamenti' e sim.; è il latino caliga 'caligine'. la soma: la somma. 
'ntaca butuni: attacca bottoni, cioè fa il sarto.
de laura e çitae: laureati e cittadini. 
zuogo de stropa: un gioco di carte. 
'ndotorae: gioco di parole tra il significato concreto 'laureate' e l'allusione a una modalità del gioco di carte, per cui chi perde e vuoI continuare a giocare deve pagare di nuova la posta. 
che 'l val: buono solo a .. 
de 'l pivial: della chiesa e dei clericali. 


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21 febbraio, 2019

Futuri imprevedibili, cambiamento e Graisanità


Approfittando delle nuove disposizioni regionali che bay-passano i piani regolatori comunali in nome della ripresa economica in fattispecie quella edilizia, Fossalon, oscura frazione agricola in Comune di Grado, nota solo per la Festa dell’ asparago, è divenuta la prima città della Regione, popolata da quattrocentomila abitanti, dediti allo sfruttamento degli immensi giacimenti petroliferi scoperti per puro caso da un birdwatcher? (definizione di uno strapazza conagi che co i sovi pititi  frantuma le ovaie ai cristiani) che vagando con il suo cannone fotografico è inciampato,  scavando una buca tale da trovare il petrolio.

E’ incredibile osservare come nel volgere di pochissimo tempo l’ intera economia di Grado e del Friuli Venezia Giulia abbia cambiato volto. 
E chissà che direbbero i nostri vecchi nel vedere la superstrada a quattro corsie per senso di marcia che collega Grado/Fossalon a Monfalcone, senza parlare della metropolitana di superficie, della costante presenza di pattuglie armate per la sicurezza dei cittadini. 
Il povero Angelo S.Michele, che ha sempre dato il benvenuto a tutti, graisani e foresti, è stato sostituito da un gigantesco edificio costruito al posto del vecchio porticciolo, un grattacielo di quaranta piani che dà lavoro a cinquemila persone. 

Eh! il progresso porta grandi cambiamenti negli stili di vita e in parte ci si rammarica di alcune modifiche del comportamento:   imbastardimento del dialetto, deterioramento dei rapporti umani, crisi di identità culturale. 
Vien quasi da rimpiangere tutte quelle denunce anonime che tanta gente faceva (oh! in tutta segretezza e discretamente) per rimarcare ogni debolezza umana, dalla musica fuori orario allo spostamento non autorizzato di banchi di sabbia. 

Cari vecchi inguaribili romantici! 
Oggi tutti è automatico ci sono sensori e telecamere dappertutto, ma è per la nostra sicurezza. 
Era bella però Grado quando un po di rumore allietava la nostra vita e ci faceva vincere la noia. 

Mi ricordo i comitati per la salvaguardia di qualsiasi cosa, che tempi , abbiamo perfino promosso una campagna per difendere la Villa Marchesini, con il suo cubismo alla cazzo-simil lavatrice, ultimo esempio di “Art Brut” di fine secolo. 
Anche se l’ aria puzza più che in una raffineria, i fumi e l’ inquinamento sono superiori a quelli della Ruhr in tempo di guerra, noi dobbiamo stare ben fermi sulle radici,  dobbiamo difendere il cambiamento puntando su quello che è la nostra base e stile di vita, il valore dei valori: 

La Graisanità!

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17 febbraio, 2019

Odore di cambiamento



Ci sono cose che nella vita sono cambiate nel tempo e non saprei se in meglio o in peggio, perchè il mutamento è stato progressivo, quasi per far dimenticare il pregresso, una di queste è certamente l' odore.

Un tempo i corpi delle persone emanavano un odore diverso da quelli di adesso. 

Anche l’aspetto era differente, un pescatore, un manovale, lo distinguevi dalle mani callose, dal corpo asciutto e sodo, ma già vecchio di fatica a poco più di quarant’anni. 

Il modo d’esprimersi e quindi quello di pensare segnavano non poche differenze dai modelli odierni.   

C’erano molti più pregiudizi, ma anche più franchezza. 

Anche le abitazioni e i locali diffondevano odori che non si facevano dimenticare. 

C’erano delle zone in Paese che sapevano di fumo anche in piena estate e delle bettole di cui indovinavi i piatti prima ancora d’entrare. 

Che poi il menù era quello, se no dove andavi? 
La birra era scarsa e il vino forse più genuino (bianco o rosso), ma mediocre senz’altro. 

Il cesso, quando c'era, aveva il suo odore, ovviamente era alla turca e quando tiravi la catena ti bagnavi le scarpe. 
E le cabine del telefono non avevano una fragranza migliore.

Indelebile l’ odore delle corriere stipate di studenti e operai, quelli che non avevano la Vespa. 

Non era solo nicotina senza filtro, era lotta di classe. 

Poi, dopo la scuola, digiuni, si tornava a casa soli, senza gli operai, e l’odore del mattino era ancora lì che aspettava, pungeva le narici e nauseava. 

C’è chi oggi ricorda in quelle cose un fascino infinito. 

Sono quelli che non prendevano la corriera!


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13 febbraio, 2019

Evoluzione dialettale dall' antico gradese


Il dialetto evolve inevitabilmente, andare indietro nel tempo e scoprire la parlata antica (primi 900) è complicato perchè gli autori consultabili sono rarissimi, uno di questi, quello che scrive con il dialetto del popolo, è Domenico Marchesini.

Domenico Marchesini (Menego Picolo) nasce a Grado nel 1850 e vi muore nel 1924, figlio della Grado storica poco conosciuto perchè purista del dialetto antico, attraverso i suoi scritti riusciamo a conoscere l'arcaismo dialettale del vero proto veneto graisan che evita con grande attenzione le contaminazioni del giuliano triestino, proponendo con forza la vigoria del dialetto autentico graisan.

Menego Picolo non mitizza il suo mondo, non ha bisogno di compiere per esso un recupero nella memoria non  sorge in lui il desiderio o la necessità di questo itinerario spirituale. 
Esprime il rimpianto del tempo che fu e ne fa una idealizzazione sentimentale, di tipo casalingo diremmo e, come i gabbiani o i  germani, si trova bene nella sua laguna.


Più che "rappresentarlo" Domenico Marchesini ci "presenta" il microcosmo gradese: un nucleo la cui struttura sociale si esaurisce in pochi elementi: i pescatori di mare e di laguna, gli artigiani e i renaioli.
E gli artigiani allora si chiamavano "artisti", ed erano artisti che per poter vivere in quella società costruita su un'economia basata sul castrum, del tipo più primitivo dunque, erano spesso costretti a esercitare più "arti" contemporaneamente.
Oltre a ciò, Menego era molto caustico con il potere costituito e non risparmiava nulla e nessuno, non avendo un grande opinione dei cosiddetti "omini insigni":


Un mondo aspro che sa di amaro e di sale come le alghe dei nostri lidi. 


Per d'esseh de valgia. 
Donone e omenuni 
E veh reverenzia 
Per duti i cantuni, 
"compare e comare" 
Val dih e fahse dih 
Per fah de in San Zuane o al nanelo 'sistih. 
                                                  Qua fra 'sti bigati 
                                                 Rufiani e birbanti 
In Ciesa a fruah 'l Coro
 Ze i savi e ze i santi; 
E in zonta a 'sta usanzia 
Per meriti, qua 
La scatola ocore 
Per ben tabacah. 
Si tal meçenati 
Co 'l naso intociao
 De radega zala 
Che 'ntossega 'l fiao, 
Per dahse a bon pressio
 De pari a un piuvan.

La poesia che ha per titolo "L'ultimo estro" fotografa con ferocia i costumi del tempo, il bigottismo e servilismo imperante.
Aggiungo le note scritte dallo stesso Menego per facilitare la comprensione del testo, decisamente non facile. Ma è un bell' esercizio da fare.
l donone ... _ 'donne e uomini di grande importanza e valore' (valgìa) 
 val dih: bisogna dire. 
 fah de in San Zuane .•• essere padrino di battesimo (San Giovanni è il battistero) o 
compare d'anello ('siSlih, 'assistere'). ,t a fruah: a consumare. 
in zonta: per giunta. 
 per meriti: per avere meriti. ,~ intociao: inzuppato. 
radega zala: una qualità di tabacco da fiuto. 
 per dahse .. : per farsi a buon mercato credere pari a un prete




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10 febbraio, 2019

Lucio Degrassi (BRONSA)



Io sto in un posto piccolo, ricco di storia, di umanità e di fame pregressa. Un posto in ammollo in una Laguna.

Dove tutto sommato è  il chiacchiericcio a tenerci uniti, assieme.
Un posto con la propensione alla dimenticanza, all' oblio dei tanti che pur avendo dato qualcosa alla Comunità non hanno inciso abbastanza a fondo, purtroppo gran parte di questi personaggi cosiddetti minori sono la nostra parte buona.

Io mi sono prefisso di trovarli, ricordarli e ricavare un posto, per quanto piccolo, per ciascuno di loro.
Uno di questi personaggi è stato:


Degrassi Lucio  (Bronsa) nato a Grado il 30/12/1919 figlio di pescatori.
Pubblica un suo libro di ricordi personali in poesia, stupendo per candore. "Pinsieri a Ole"
lo descrive così: 
"Sollecitato da alcuni amici e dai miei figli ho preso l'immodesta iniziativa di pubblicare questi "Pinsieri a Ole" senza alcuna pretesa che possano avere un qualche valore letterario, ma conscio che attraverso la loro lettura chi mi è vicino possa comprendermi meglio. Sono versi senza un filo conduttore ben definito, ma rispecchiano stati d'animo con gli alti e bassi che la vita riserva. In somma "pinsieri a ole" cioè ondeggianti, barcollanti come l'ubriaco al quale dopo il piacere del bere subentra l'euforia, quindi la tristezza ed infine il malessere quando torna a rendersi conto quanto effimera sia la vita.".

Io lo definisco un fiore, anzi un germoglio d' amore per la propria terra e orgoglio delle origini  mettendo a disposizione le memorie per  presentare l' ambiente gradese del suo tempo oggi in via di estinzione sotto la spinta incessante dell' egoismo e degli interessi più gretti.

Lucio è uomo di altri tempi generoso e profondo come solo un popolano sa essere, lo leggiamo in questa sua poesia:
EL FURLAN

EI profumo de polenta xe furlan,
furlan xe el menestron,
furlan el cundimento
e 'l alboro maistro.

Dalongo prima d'una caligà,
vien, furlan, l'odor del tovo fien
tagiao de fresco.

Tu son tanto vissin, furlan,
che bastarave slonga un brasso
per strenzete la man.


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02 febbraio, 2019

Pioggia


...E la pioggia piangeva
asciugandosi al vento
sopra tetti spioventi
di desolati paesi. 

A. Merini

Ed ecco, c’è quella pioggia lì. 

Quella cattiva, stizzosa come la tosse, che come la tosse non finisce mai.
Ecco, c’è quella pioggia lì, che non ha niente di invernale, cade e basta, grigia, testarda, pesante come una maledizione.
Ecco, c’è quella pioggia lì, quella che ti bagna l’animo e te lo rende intristito e pesante, proprio come una coperta intrisa d’acqua.

Quando piove nel nostro Paese di mare, è acqua più acqua che nelle altre parti del mondo: è un’apoteosi dell’ umido. 
Non viene giù dal cielo, ma da qualunque parte: da sotto, da sopra, da destra e da sinistra. 
Cade dall’alto, da cieli di nuvole spesse che diventano grigie come il metallo e poi nere, e impietriscono in un attimo l’aria, ingoiandosi i raggi di luce. 
Risale dalle griglie dei tombini, che trasudano fanghiglia sporca fra un interstizio e l’altro.
Gorgoglia nel canale del porto con il "plaff plaff"  delle gocce che piombano giù sferzanti, e poi sudano acqua gli intonaci e i muri delle case, e il loro sudore scivola via per le calli e nelle strade trasformate in pozzanghere.
Non è pioggia, è un assedio.

Dicono che l’estate tornerà, ma è impossibile da dire.


Impossibile da dire.

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