Il dialetto evolve inevitabilmente, andare indietro nel tempo e scoprire la parlata antica (primi 900) è complicato perchè gli autori consultabili sono rarissimi, uno di questi, quello che scrive con il dialetto del popolo, è Domenico Marchesini.
Domenico Marchesini (Menego Picolo) nasce a Grado nel 1850 e vi muore nel 1924, figlio della Grado storica poco conosciuto perchè purista del dialetto antico, attraverso i suoi scritti riusciamo a conoscere l'arcaismo dialettale del vero proto veneto graisan che evita con grande attenzione le contaminazioni del giuliano triestino, proponendo con forza la vigoria del dialetto autentico graisan.
Menego Picolo non mitizza il suo mondo, non ha bisogno di compiere per esso un recupero nella memoria non sorge in lui il desiderio o la necessità di questo itinerario spirituale.
Esprime il rimpianto del tempo che fu e ne fa una idealizzazione sentimentale, di tipo casalingo diremmo e, come i gabbiani o i germani, si trova bene nella sua laguna.
Più che "rappresentarlo" Domenico Marchesini ci "presenta" il microcosmo gradese: un nucleo la cui struttura sociale si esaurisce in pochi elementi: i pescatori di mare e di laguna, gli artigiani e i renaioli.
Menego Picolo non mitizza il suo mondo, non ha bisogno di compiere per esso un recupero nella memoria non sorge in lui il desiderio o la necessità di questo itinerario spirituale.
Esprime il rimpianto del tempo che fu e ne fa una idealizzazione sentimentale, di tipo casalingo diremmo e, come i gabbiani o i germani, si trova bene nella sua laguna.
Più che "rappresentarlo" Domenico Marchesini ci "presenta" il microcosmo gradese: un nucleo la cui struttura sociale si esaurisce in pochi elementi: i pescatori di mare e di laguna, gli artigiani e i renaioli.
E gli artigiani allora si chiamavano "artisti", ed erano artisti che per poter vivere in quella società costruita su un'economia basata sul castrum, del tipo più primitivo dunque, erano spesso costretti a esercitare più "arti" contemporaneamente.
Oltre a ciò, Menego era molto caustico con il potere costituito e non risparmiava nulla e nessuno, non avendo un grande opinione dei cosiddetti "omini insigni":
Un mondo aspro che sa di amaro e di sale come le alghe dei nostri lidi.
Per d'esseh de valgia.
Donone e omenuni
E veh reverenzia
Per duti i cantuni,
"compare e comare"
Val dih e fahse dih
Per fah de in San Zuane o al nanelo 'sistih.
Qua fra 'sti bigati
Rufiani e birbanti
In Ciesa a fruah 'l Coro
Ze i savi e ze i santi;
E in zonta a 'sta usanzia
Per meriti, qua
La scatola ocore
Per ben tabacah.
Si tal meçenati
Co 'l naso intociao
De radega zala
Che 'ntossega 'l fiao,
Per dahse a bon pressio
De pari a un piuvan.
La poesia che ha per titolo "L'ultimo estro" fotografa con ferocia i costumi del tempo, il bigottismo e servilismo imperante.
Aggiungo le note scritte dallo stesso Menego per facilitare la comprensione del testo, decisamente non facile. Ma è un bell' esercizio da fare.
l donone ... _ 'donne e uomini di grande importanza e valore' (valgìa)
val dih: bisogna dire.
fah de in San Zuane .•• essere padrino di battesimo (San Giovanni è il battistero) o
compare d'anello ('siSlih, 'assistere'). ,t a fruah: a consumare.
in zonta: per giunta.
per meriti: per avere meriti. ,~ intociao: inzuppato.
radega zala: una qualità di tabacco da fiuto.
per dahse .. : per farsi a buon mercato credere pari a un prete
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