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10 agosto, 2010

Apparire per non scomparire


Fare una riflessione sullo status nel Web e in specie sui social network è un'utile esercizio mentale, vediamo un po quel che ne esce:

Viviamo nell’era della loquacità di massa.
Ne scriviamo tutti e ne parliamo in qualche modo.
Non solo il nostro autobiografismo è diventato materia interessante, ma è indispensabile per rimanere a galla nel turbolento scorrere delle attività sociali in rete.

Se non si cinguetta forte e spesso si finisce per essere abbandonati.

Una consistente fetta di coloro che galleggiano nel fiume agitato del social network si rende presto conto di non aver energia sufficiente per non affondare.

Quando si sale su uno sgabello poi bisogna avere qualche cosa da dire.
Una vita comune, una creatività limitata, esperienze non troppo originali lasciano i blog deserti.

Per evitare di scomparire ci si rivolge all’unica avventura che si riesce ad immaginare: la propria esistenza quotidiana spezzata in tanti piccoli episodi, talmente piccoli da risultare misteriosi ed evocativi.
La vita banale si tinge di giallo, si ammanta di domande senza risposta e appare più interessante di quanto non lo sia realmente.

È il trionfo dello status di Facebook, un modo di far la cronaca di se stessi che diventa persino ossessiva quando posso piazzarla su una mappa.
Grazie alla geolocalizzazione si rende pubblico in modo preciso il nostro posto sulla faccia della terra.
A Quel punto l’impulso a estrarre uno smartphone per gridare “sono qui!” diventa incontenibile.

In un’epoca nella quale i trasporti, la sicurezza dei viaggi e delle esperienze lontane è alla portata di molti assistiamo a un ripiegamento pubblico su se stessi.
Ti racconto di me, di dove mi trovo, di cosa faccio.

Il social network però ti permette una nuova illusione: i cinque minuti di notorietà ipotizzati per tutti una volta nella vita diventano realtà e la necessità di essere immortalati nella memoria dei nostri simili, tempestandoli dei frammenti di una esistenza a pezzetti, si fa pressante.

C’è un bisogno di far parlare di sé, costante, minimo ma continuo.

Non grandi discorsi che fanno persino paura.
Basta anche che un amico schiacci il pulsante - I like - che arriva una boccata d’aria.

Quasi come delle galline che schiacciano il pulsante per ottenere nutrimento, ci si accontenta di poco.

E se il social network prosperasse a causa della nostra, ormai insopportabile, paura di scomparire?

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