Carussi e bussolai, bone grassie (ciambelle della cresima), pan co l'ua, pan de fighi, pan consao o co l'ogio, pinse e fugasse, frisse (ciccioli di maiale fritti) sigari de bon-bon, perussoli, mestroculi e stiopetini, legno dolse, carobe, sucoro de Gurissia (liquirizia), crustuli e fritole, panadela, mesta (la sbobba del casoner- olio, pepe, farina e fagioli qualche frissa e sardele salae), risi co l'ogio, bisi sichi col pesto, zuf (farina di granturco bollita con acqua e latte) perseghi, nespuli e sorbuli co la polenta, pesse salao soto fraco, sarduni e renghe, bacalao, datuli e fighi, peverasse, caparossuli, sgarsenei e cape de vale, scanavesse e giarissi, e buriti de duti i coluri.
Questi, in parte e alla rinfusa i termini della tradizione culinaria da non dimenticare.
Dopo, con l' avvento del turismo moderno, è arrivata la Ristorazione cool dove il cuoco è un food magician, un alchimista del cibo, uno che ti prende un pomodoro e lo trasfigura nella sua più intima materia, ne condisce l' anima.
E noi che siamo ancora a pasta e fagioli e boriti.
QUANDO è stato, esattamente, che ci siamo rincoglioniti in fatto di cibo?
La cucina è diventata la nostra nevrosi, una religione dispotica i cui sacerdoti, star della Tv e delle copertine glamour, vendono a peso d’oro le loro mutazioni genetiche e le chiamano creazioni.
Bah!
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