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13 febbraio, 2012

Le Pensioni


Visto che le pensioni sono un argomento peloso all' ordine del giorno, ho trovato uno studio sul sistema veneziano antico che mi pare mostri un diverso e più giusto punto di vista.
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Per passare dall’elemosina pelosa dei ricchi a un pieno diritto garantito, cioè a una previdenza sociale, ci dev’essere chi paga le provvidenze.
Per fortuna nei secoli lontani nei quali cominciarono a intravvedersi le prime forme di previdenza sociale c’era tra la gente che comandava molta più avvedutezza che in tipi come il sior Monti o la siora Fornero.

A Venezia, osservava Armando Sapori, l’aristocrazia mercantile era arbitra dello Stato, “e naturalmente sospettosa verso le associazioni che raccogliessero le forze del popolo”, ma tuttavia e proprio per tale fatto:

[…] lo Stato stabilì o controllò la predisposizione di provvidenze idonee ad assicurare un minimo di tranquillità al lavoratore, non tanto considerato come individuo, quanto come elemento sociale, la cui serenità si risolve appunto in un bene sociale [Studi di st. economica (secc. XIII-XV), vol. I, pp. 432-33, ed. 1955].

Nei Capitolari delle Arti veneziane, dettate in sostanza dallo Stato nell’”interesse collettivo”, possono essere considerati – scrive Sapori – dispositivi di legge nei quali si ha un vero principio di previdenza sociale. In breve e con degli esempi vedo di dire com’era articolata.

Lo Stato s’interessa dei “poveri maestri vetrani”, cioè delle maestranze anziane, veterane, sancendo che i protomastri e i maestri che tengono personale alle loro dipendenze debbano assumere assieme ai giovani anche dei vecchi secondo la percentuale da due a dodici (i privati di uno a tre).
Tale disposizione valeva per Venezia e il territorio da Grado a Cavarzere.
Quanto al salario venne stabilito che per i vecchi ancora non del tutto inabili al lavoro fosse uguale per i più giovani, e per gli inabili totali che fosse della metà.
Con i padroni che sgarravano si era inflessibili.

Si dirà: ma in tal modo si mettevano gli anziani a lavorare.

Bisogna tener presente – ed è l’aspetto che m’interessa di più dal punto di vista storico – che del lavoro in generale e di quello prestato dagli anziani in particolare, si aveva allora una concezione opposta a quella della visione capitalistica odierna.

Oltre al fatto che si trattava di un lavoro prevalentemente di tipo artigianale, anche se organizzato spesso con un carattere già industriale (cantieri dell’Arsenale).

Scrive ancora Sapori:
Quanto alla comprensione del valore sociale del lavoratore, basta che tramutiamo la parola “compassion” in “onor” (e con ciò non facciamo certo violenza alla mens del legislatore) perché siamo indotti a inchinarci dinanzi alla lungimirante umanità dei calafati e dei Signori dello Stato di Venezia.

I quali, tutti, sentirono che i vecchi maestri, a cui la tarda età aveva ridotto o spento la vigoria delle membra, ma non assopita la forza creatrice e tanto meno la passione per il “mistier”, non potevano essere allontanati dall’Arte.

La beneficenza li avrebbe mortificati; e la stessa pensione, ancorché conferita come un diritto che avrebbe loro permesso di trascinare gli ultimi giorni dell’esistenza nella quiete di una calle, lontano dal frastuono del mare, avrebbe lasciato il rimpianto dei compagni di lavoro, delle navi che erano l’orgoglio e la grandezza della patria.

E vollero, per questo, che il maestro veterano morisse al suo posto, combattente egli pure di una nobile e grande battaglia, onorato dai giovani, esempio ai giovani, guida ai giovani nel menare il rude e intelligente colpo d’ascia: retribuito infine, per i suoi consigli, come lo era stato per la sua opera [p. 440].

Capio! Il Concetto è chiaro, questa è lungimiranza.
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