Giorni di sole, finalmente in spiaggia.
Tanti turisti lungo la battigia ma si muovono anche i locali, gli indigeni, in specie le donne e i bambini.
Una fauna speciale con procedure ed atteggiamenti ancestrali incrostati di tradizione e avvolti dal mantello della parlata tradizionale "Al Graisan".
Scene di spiaggia
Le due donne sono madre e figlia. Arrivano al mare ogni pomeriggio con l’eleganza con cui le signore del primo Novecento scendevano in spiaggia:
la figlia con un tubino semplice e una gran borsa di paglia, la madre con uno chemisier blu, il cappello bianco a tesa larga, ed al collo il foulard di Hermés di seta.
Si cambiano in capanna, indossano i loro due costumi interi, rigorosamente blu, e i cappelli da spiaggia, perché le vere signore hanno il cappello da spiaggia diverso da quello da passeggio, e coordinato al costume.
Poi, altere come si conviene a due nobildonne vanno a fare la passeggiata lungo il bagnasciuga, chiacchierando fra loro, incuranti del caldo di fuoco, e benignamente salutano chi incrociano lungo il tragitto.
Parlano tra loro e con gli altri rigorosamente in dialetto, perché a Grado, anche se sei un signore, l’italiano lo usi solo per interagire co’ i foresti.
Sulla battigia sembrano il risultato di un’eleganza antica e perduta, fuori dal tempo e perciò eterna.
La facciata di formalismo sembra frantumarsi quando la figlia, alzatasi dalla sdraio, chiede alla madre:
«Tu vien a bagnate i pìe, che fa coldo?»
E la madre, olimpicamente serafica, risponde:
«Vegno, ma no serve a ninte ‘ndà in acqua, incùo: la zè colda comò al pìssosso!»
Avanzando lungo la spiaggia, vedi una madre serenamente abbandonata su una sdraio e ogni tanto da una occhiata distratta ai due pupetti quattrenni, che giocano con secchiello e paletta e, sul bagnasciuga, guardano i granchiolini.
«Mamma, mamma!
Varda, ‘sti gransi che che i fa! I zè un sora de che l’oltro! Fa il piccolo, scandalizzato.
«Ihh, co longa che tu la fa… te he spiegao che i zè marì e mugér e i zè drio dasse i basitti!»
«Ma no, mama! No i pol esser marì e mugèr! Zè do masti co ‘na femena in mezo!»
E la madre, senza scomporsi:
«E alora?, beata la femena!»
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