Una delle cose che mi piace di più è il dialogo con le persone, la chiacchiera e, se viene, la battuta.
Se sono davvero persone interessanti, le ascolto e basta.
Al massimo chiedo ragguagli. Questi incontri del mio tipo sono eventi sempre più rari.
Invece la maggior parte degli esseri viventi con i quali mi capita d’incrociarmi, padroneggia l’arte di non ascoltare gli altri.
Conoscendoli devi scegliere con cura un argomento che in qualche modo non dico li colpisca al cuore, ma almeno li sfiori sulla pellaccia.
È inutile perché ti guardano con occhi distratti e lontani.
Non sanno trattenersi per più di qualche secondo e t’interrompono iniziano a parlare d’altro, di se stessi ovviamente, ossia dell’argomento che più di ogni altro li appassiona e coinvolge.
La banalità trionfante, immancabile.
Siamo un paese di vecchi, siamo un paese vecchio dentro, chiuso, meschino, pigro e senza speranze, perché persino i sogni costano fatica e noi quella fatica non la vogliamo fare, e brontolare senza costrutto è più facile e dà tanta soddisfazione, perché questo i vecchi fanno sempre, da sempre: brontolano dando la colpa al destino del mondo che han costruito e che contribuiscono a mantenere in vita.
Poi me ne accorgo, rileggo quel che scrivo e penso, ho lo specchio davanti e quello che vedo è un vecchio, ma allora il vecchio brontolone sono io!
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