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30 novembre, 2015

Il fuoco purifica



Esiste una vecchia pratica gradese che dice:     Il fuoco purifica tutto:

 Detto fatto:     

 e le vecchie carte del Municipio sono andate perdute ben due volte.


  • Una con l' assalto degli inglesi durante la  breve occupazione francese:

"Oh! Che fogo aneme che i anglisi ha fato co' le vece carte de la nostra Comun.
I voleva oro quii porchi, ma noltri povariti che oro tu volivi che vessemo. 'Lora ili, piini de rabia, i ha ciapao i veci libri, i diplumi de i Dozi, duta la nostra antiga storia cio', e i li ha bruzai duti zo in Corte.
Dozento ani ze' passai, ma a me par geri che ze' sucessa quela desgrassia. 
Sento 'ncora la voze de gno nona che me conteva, si', de so barba Zuanne Comandaor che 'pena i anglisi i s'ha levao de torno, de duta corsa 'l s'ha portao in Corte, davanti 'l palasso de 'l Prinzipe. 
Là, co' 'l agiuto de pochi amissi, co' le lagreme a i vogi, l'ha messo in t'un saco carte vece meze bruzae, che 'l fogo 'veva sparagnao. 
In t'un saco, sì, che gnissun da quel zorno ha più verto, e pien de polvere incora 'l dorme in sofita de la Comun."

  • La volta successiva fu un ' incendio che nessuno dichiarò doloso, ma molti lo pensarono, distrusse l' archivio comunale e molte carte che potevano creare imbarazzo ai potenti del tempo.

Così la nostra memoria collettiva fu azzerata,  carte compromettenti? Distrutte senza ritorno  e nessuno aveva fatto il back-up del server.

Non si sa mai!

Fuoco Riverginator!

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29 novembre, 2015

Garum e Iulia Felix



Il carico della Iulia Felix, ormai non ha segreti per gli studiosi, per noi cittadini destinatari ultimi (forse) del messaggio che la storia ci può dare sugli usi romani del tempo, un po di più, ma siamo in trepidante attesa di aperture museali ormai promesse a tutte le latitudini, c'è una cosa però che conserva un lato oscuro, alcune anfore, le più piccole e quindi più preziose contenevano il Garum
Che cos'è il Garum e cosa rappresentava per il romano medio del tempo?
Chi si chiede cosa mangiassero i Romani a pranzo e a cena, incappa in lui, nel   garum. 
I Romani lo mettevano su tutto, un po’ come gli Americani mettono su tutto il ketchup, pure nel cappuccino. 
Il garum: non è facile spiegare esattamente cosa sia, perché dal mondo romano sono arrivati a noi molti accenni, ma non una ricetta completa. Ricostruiamo cosa fosse quindi in base a quel poco che sappiamo, e, da quel poco che sappiamo, possiamo ipotizzare con una certa precisione questo: 
il garum era una schifezza.

Era un impasto di interiora di pesce mezze essicate, che già fanno schifo del loro al solo pensarci, per di più lasciate a fermentare (modo elegante per evitare di dire “marcire”) sotto al sole in otri di terracotta, che fa quindi più schifo ancora. Da tutto ciò si ricavava una poltiglia immonda: ecco quello era il garum.
I Romani ne andavano ghiotti, e lo mettevano su tutto, del resto era un mondo senza frigoriferi, per cui una pennellata di garum su carni e pesci copriva anche molto i sapori originali, quelli che noi di solito chiamiamo “del buon tempo antico”, ma dimentichiamo sempre che nel buon tempo antico non erano un granché.
Apicio, autore deArte Coquinaria – De Opsoniis et Condimentis il più importante testo di cucina romana suggerisce di cospargere con il garum ogni pietanza per conferirgli salinità e quindi contribuire a conservarle. Plinio il Vecchio definisce il garum un liquido di pesce marcio. Certamente il garum era un liquido costituito dalle interiora di pesce, preventivamente aperte e lavate in acqua di mare, lasciate asciugare per poi essere messe a macerare in olio d’oliva e erbe varie.
Dioscoride Pedanio, De materia medica, libro II, 32     “Ogni tipo di garum, che è una salsa ottenuta da pesci e carni macerati con il sale, se con esso si fa un impiastro caldo, blocca le piaghe che consumano. Cura i morsi di cane. Si somministra a quelli che soffrono di dissenteria e di sciatica; ad alcuni si somministra perché cauterizzi le parti piagate, ad altri, invece, per far sentire ferite che non hanno avvertito.”
Detto questo i nostri vecchi, molto più savi e schizzinosi degli antichi romani, con i resti meno nobili del pesce pescato hanno elaborato la ricetta del Boreto facendone un piatto prelibato che resiste agevolmente ai giorni nostri anche alle analisi delle moderne USL che mai permetterebbero di mangiare schifezze crude come il "Garum".


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28 novembre, 2015

Favelà cò me



Il nostro Giovanni Marchesan "Stiata" ha sempre un pensiero per "noltri graisani" e me lo spedisce affinchè lo condivida con tutti.
Grazie.


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26 novembre, 2015

Evoluzione


A Grado un tempo non troppo lontano c'era una frattura ben chiara tra la popolazione che abitava la laguna (casoneri o graisanati) e la gente del paese che si riteneva superiore per censo e per istruzione ai pescatori.

A loro volta venivano ricambiati con spregio dai pescatori e definiti "scartossiti", modo ironico per descrivere il loro abbigliamento che con giacche e cravatte li facevano somigliare a pacchettini regalo.

Anche il dialetto usato era diverso, più arcaico e meno influenzato da vocaboli esterni quello lagunare, più aperto a contaminazioni quello del paese abituato ormai a rapporti stretti con il retroterra giuliano triestino.

Il modo di vivere era profondamente diverso, attaccati alle tradizioni e alla stagionalità naturale i pescatori, poco ciarlieri e con poca necessità di parole  al di la dello stretto necessario (il loro vocabolario era ridotto all' essenziale);
in evoluzione rapidissima gli altri paesani, cui il contatto con un'umanità diversa per esperienze e lingua apriva nuovi orizzonti.

Il motore a scoppio e la riduzione della distanze tra Grado e i casoni in Laguna riportarono in paese tutti i "casoneri o americani de palù" rimescolando le carte.

Scomparsi i "casoneri" siamo diventati tutti "scartossiti"

IO poi, ho seguito un percorso altalenante, nato casoner divento rapidamente in gioventù scartosseto per trasformarmi definitivamente in maturità "casoner o american de Palù" e ben contento de esselo.
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25 novembre, 2015

Usi Casoneri- Sposalizio



Ormai lo sposarsi non è più di moda tra le giovani coppie che, anche a causa dei costi, preferiscono convivere, ma un tempo era un vero e proprio rito con le sue regole, vediamo i riti dei casoneri.

Gli usi dei casoneri:

Sposarsi a Grado presentava due momenti ben distinti:
le nozze tra i residenti in paese e le nozze dei "cazoneri".

La donna che si sposava ad un cazoner (o paluante) seguiva il marito e restava con lui a "cason", ritornava a Grado solo in occasione del parto che, però, poteva avvenire anche in cason.
(La gestante andava a Grado due mesi prima, spesso ci veniva da sola e, in genere, ospitata dalla madre) 

Dopo la nascita ed il battesimo la donna tornava in cason e riprendeva l'attività al fianco del marito e con gli altri familiari; se per caso le capitava di restare sola di notte e non aveva un figlio maschio, metteva i calzoni del marito sul letto per proteggersi (a Grado i calzoni vengono anche appesi fuori dalla finestra).

La vita dei cazoner pareva meno irta di difficoltà, almeno riguardo al cibo,
In cason si trovava sempre da mangiare, pesce o selvaggina, (la selvaggina viene non solo venduta ma anche affumicata per la conservazione) che si accompagna con la polenta che ci si procura là "dei furlani" barattandola con il pesce.
In cason si teneva anche qualche gallina, raramente una capra per cui anche il latte si prendeva dai contadini.

I bambini imparavano presto dai padri l'arte ed i segreti della pesca (l'uso della seragia, il modo di ghipà e guà e di battere con lo stumigio...), la cura delle barche e delle reti, le varie consuetudini come cavasse la bareta e pregà un Salve Regina a la Madona de Barbana e ingenogiasse prima di buttare le reti per avere una buona pesca o fare le speciali tacche simbolo di riconoscimento (al baitan).
La mattina recitavano le orazioni e la sera il rosario e le preghiere per i defunti ed ascoltavano poi le storie dei grandi prima d'addormentarsi.


Il momento di una giovane donna prima del matrimonio descritto con poesia:

Checna gera la p bel
che la Sdòba vessa visto,
preché la zoventù 'i pitureva le gràmole
  col sol 'nfogao d'agosto.


E la spetèval dí de le nosse
i fiuri e un bianco vistío,
i satùli el pan de spagna,

e Piero sovo 'nte'l cuor rapío.

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24 novembre, 2015

La memoria delle Piere


Io amo la poesia, arte considerata minore e in parte trascurata, ma per me incisiva, precisa, saettante e alle volte visionaria.
Amo ancor più i nostri cosiddetti poeti minori, visto che di maggiore ce n'è uno e basta -Biagio Marin-.
Uomini e donne di Grado che hanno scritto cose magari non memorabili però sincere, provenienti direttamente dal cuore.
Roba de omini e femene insomma.

Questa lirica di Giovanni Marchesan "Magnamili" è fantastica e profonda fa scuotere le corde della memoria e del cuore graisan.

Giovanni Marchesan "Magnamili"

  LA MEMORIA  DELE PIERE


Dute le piere  de Gravo hana memoria,
'ste storie mai stae scrite ze la storia.

No la  scancela la memoria ‘l vento, 
sculpia  sora le piere  de arenaria 
siole  de scale consumao de  'l tempo,
oniuna  piera ha drento  una memoria.

Rumor  de zoghi fati co' i  pie nui
- Ia   piova no' ha  rivao portasse via -­
culpi de tachi de soculi fruai,
pianti  de fantulini  ‘ngulissai. 
Storie de vite de seculi  passai, 
canti,  barufe e sighi de le mare, 
uduri  de buriti  'npeverai
par de sintili 'ncora  in 'ste contrae.

Piere più grande,   moli de manzegno,
sconte oromai  de marmi  e de cimento, 
stanche de vive, perso  'l so' contegno, 
garguna a fundi canta 'l so' lamento, 
che ele ricorda tinpi mundi beli
quando ‘l furmigoleo   de pescauri
'ntresseva duto  ‘l porto de bateli
co' vele issae a sugà mile culuri.

E quele de 'I reparo, che frageli!
coverte, sofegae de piere nove,
piu no' se riva a sintile le so' vose
che le conteva de tradiminti e spose

Piere de cale, lisse consumae,
piere de i moli,  'ncoronae de verde,
vistie de baro fresco  'nte 'l reparo, 

piene  de storie che man man se perde...


Ricordo che gno nona e gno mare co no capivo gargossa le me diseva:
                     "t'ha la suca dura comò le piere del reparo" 

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23 novembre, 2015

Conchiglie


Le conchiglie. La mia vita.

La natura in tutta la sua bellezza.
E' quasi musicale osservare le linee incredibili, i ghirigori che mano umana non riesce ad immaginare e che ad ogni sguardo sorprendono perchè cambiano colori a secondo dell'angolo da cui le guardi.

scusse,
sogni masenai,
da onde quiete
de risaca.
Una magia del mare,  la spiaggia offre in quantità questi pezzi di vita che ho colto in foto.

"Si sorbiscono dalla conchiglia con un leggero risucchio - un bacio di Giuda - prima di posarle al centro della lingua. Si spinge il frutto verso il palato indugiando un attimo per consentire alla differenza di temperatura di far sciogliere la parte cristallina e far scendere sulle papille il succo apprezzandone sapidità, acidità. Poi si fa scivolare il mollusco tra i molari leggermente aperti. Si indugia ancora un istante e solo ora si possono serrare i denti, lentamente, delicatamente, goduriosamente. 
Che ci sia della crudeltà in tutto questo è probabile, è inevitabile."

Assolutamente sexi!

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22 novembre, 2015

Giornalisti di una volta-Luciano Sanson

C'era una volta una razza di giornalisti locali che pur lavorando "soto Comun" riuscivano lo stesso ad essere imparziali e a dare le notizie per quel che erano senza l' interpretazione "a cazzo"  quasi sempre spettacolaristica e gossipara in uso oggi.


Luciano Sanson  

Sin dai primi anni dopo la guerra, Sanson lavorò per il Giornale di Trieste e per Il Piccolo, come corrispondente, occupandosi della cronaca di Grado e, per la prima volta, garantendola quotidianamente: ogni pomeriggio, per decenni, lo si vedeva consegnare la busta ”fuori sacco” all’autista della corriera serale per Trieste.
In quelle buste c’era qualcosa di estremamente utile per l’opinione pubblica isolana: l’informazione obiettiva sui fatti, il rispetto per tutte le voci del paese, la cultura genuina e la tradizione, i ricordi di figure particolarmente significative di Grado.


Le benemerenze di Francesco Luciano Sanson sono state ricordate da Augusto C. Marocco, amico da sempre e collega di ufficio per tanti anni. 

Luciano Sanson giunse giovanissimo a Grado. 
Proveniva da Pieris, e subito si integrò nella comunità gradese, divenendo un profondo conoscitore degli usi e costumi isolani, delle persone e della cultura, tant’è che per diversi decenni resse la segreteria particolare di vari sindaci.

Fece parte di un gruppo di giovani interessati nel dopoguerra alle attività teatrali, tra cui Giacomo Zuberti (autore di commedie e del testo della canzone “Màmola”), Onorio Dissette ( autore di commedie e canzoni), il medico Ferruccio De Grassi (letterato e storico) e altri noti esponenti della cultura gradese.

Sanson ebbe uno stretto e lungo rapporto amicale con Biagio Marin. 

Contribuí a fondare la “prima” Grado Nostra nel 1968-69 e fu parte attiva, quale vicepresidente, nel comitato sorto negli anni Sessanta per accogliere il grande poeta gradese nel suo ritorno a Grado.
Negli anni divenne anche commentatore sportivo alla Rai di Trieste e presto si fece conoscere ed apprezzare negli ambienti sportivi e dei tifosi del Friuli-Venezia Giulia. 
Fu anche corrispondente del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport. Scrisse inoltre su Voce Isontina, La Regione, Tuttogrado e Turismo Gradese. Seppe coltivare e preziose amicizie anche fuori Grado, ad esempio con personalità nella vicina Aquileia, come lo sportivo Ermes Scaramuzza e i professori Bertogna e Scuz.

Oltre a  tutto questo era un uomo profondamente buono ed attaccato al suo Paese, cui voleva bene.


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20 novembre, 2015

Leggere a Voce Alta


Qualche tempo fa mi è capitato di parlare dello scrivere in corsivo, e della voglia dei soliti americani di eliminare dall' insegnamento questa pratica così apparentemente demodè, ora la riflessione punta sul controaltare della scrittura;       La Lettura:
Vediamo di chiarire cosa intendo per leggere.

Non l'esercizio del lettore professionista curato nei tempi e nella dizione che legge ad alta e chiara voce.

Lo so che ci sono dei corsi e della gente che insegna ad altra gente a leggere dal vivo ad alta voce, che insegnano l'intonazione e le pause ma mi fa sembrare il tutto come molto affettato e senza cuore. 

Io invece voglio parlare invece della lettura a voce alta. 

Perché c'è una bella differenza tra leggere ad alta voce, in pubblico, e leggere a voce alta, sempre in pubblico. 

Leggere ad alta voce implica predisposizione, premeditazione, impostazione, studio: bisogna esser bravi. 

Leggere a voce alta è più semplice, forse più intimo, e consiste nell'azionare tutto d'un colpo l'interruttore che accende le corde vocali del nostro leggere mentale, tirare su la manopola del volume e portare le parole del libro alla luce in modo spontaneo: insomma    bisogna essere sé stessi. 

Ognuno col suo accento, coi suoi errori, coi suoi impappinamenti, con le sue emozioni. 

A leggere a voce alta, spesso, o almeno a me succede, tremano le gambe e le mani e i fogli che tieni tra le mani con sopra la roba che devi leggere.

Tutto questo diventa fantastico da vedere e con grandi emozioni da provare e vorrei che qualcuno si adoperasse per organizzare degli incontri tra la gente e ognuno che abbia voglia di partecipare, porti un suo testo e lo legga, così davanti a tutti, magari con qualcuno che accompagni alla chitarra e così forse riusciamo a rivederci in carne e ossa e non a limitarci a frequentarci più volte al giorno come fantasmi su Internet. 
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19 novembre, 2015

DEtti e modi di dire del passato o forse no...



...Fai in modo che il tuo passato sia parte di ciò che diventerai...

Grado, come in tutte le comunità circoscritte, ha molti modi di dire o detti popolari che sono gocce di saggezza condensate.
Fotografavano situazioni e davano soluzioni per gente che considerava la scrittura e la lettura un lusso de "siuri".

Ricordarli per me è un tuffo nel passato, un ritorno alle origini, con mia nonna che alternando le sgrida per farmi star fermo declamava continuamente gemme di saggezza popolare.

Comportamenti, costumi, pensieri facevano parte di un patrimonio comune, consolidato e acquisito in maniera naturale da quella pozza d'esperienze che era l'ambito familiare.

Era naturale trasmettere esperienza con i motti popolari che compendiavano in quattro parole l'esistenza.

Vediamone alcuni:

I corni vostri malediti che ze l' arma dei vostri veci
No bisogna magnà duto quel che se ha, no bisogna contà duto quel che se sà.
Un bon e un tristo se confà.
Cò la stela ze vissin a la luna o piova o fortuna.
Garbinasso quel che cato, lasso
Megio un magro acordo che una grassa sentensia.
Per un ciacolon: Tasi pesse brontolo
A sto mondo va fato comò feva Venessia:
la zente se lassa tosà no scortegà
Quando vien la festa se lassa ogni secada, e a bordo de la Radeski se fa la ciacolada.
Se no ze barufa no ze gnanche festa.


Insomma nel passato, pur con le sue contraddizioni e difficoltà, si offriva l'occasione per riflettere e affrontare le difficoltà della vita con ricchezza di spirito e per rendere le persone più "persone".

Piero "Canaro" Marchesan scriveva in una sua canzone:
"Ma qui ze ani ormai passai
timpi alegri e spensierai
che mai più ritornarà,
che pecà, che pecà.
Me recordo co gero in sigonda,
la maestra me diseva che la tera ze tonda,
e studiando l'astronomia,
che ze la roba più bela che sia".






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17 novembre, 2015

Canti popolari graisani


Ho letto oggi che la Regione ha stanziato un contributo a sostegno dei dialetti, il nostro è nella rosa degli aventi diritto, bontà loro e grazie al lavoro di Leonardo Tognon e tanti altri.

E' giusto  sottolineare l' importanza del canto dialettale in una piccola comunità come la nostra per il mantenimento della parlata una componente essenziale delle nostre radici.

I canti popolari sono i fiori selvatici dei dialetti.

Le canzoni gradesi di un tempo sono figlie della musa lagunare, la loro originalità è centrata e dovuta alla descrizione dei costumi e del luogo, uno speciale colore tutto "graisan".

Gli autori sono per lo più sconosciuti e difficile è anche stabilire l' esatta origine di certe canzoni che sembrano nascere spontaneamente tra la gente e tramandate per tradizione orale e non scritta.

La musa che ha animato gli autori ha un carattere intimo, domestico.

Nasce in mare tra le alghe e le reti, riproducendo quadri deliziosi della pesca, animandoli di uomini laboriosi, facendo provare il piacere del lavoro.
Descrivono donne innamorate in attesa del loro uomo al lavoro in Laguna o in mare,

Solo due piccoli esempi di canzoni popolari di un tempo:


Me domandè indola vago cò le arte?
vago potando su le restie de 'l mar
i rimi in barca e cò la vela in parte
a pescà quela che me vol amà.


Ninna Nanna

Dormi, bel figio
che to pare pesca
e zozo in mar
cò l' inzegno e l' esca
El pensa a 'l to magnà.

Dormi bel figio
che to pare pesca
zozo in palù
I pissi magna l' esca
nome per tù.

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16 novembre, 2015

Elisabetta Medeot - la sua battaglia



Ieri mi sono avvicinato con curiosità al tavolo  in "Piassa Granda" per la raccolta delle firme in favore del principio del voto nelle primarie sezionali in seno del PD.
Ho parlato a lungo con Elisabetta Medeot, promotrice dell' iniziativa e supportata da una piccola schiera di amici, che mi ha spiegato i motivi che l' hanno portata in piazza.

Lei rifiuta l' imposizione di un candidato sindaco locale voluta dalla Dirigenza Provinciale del PD, ritiene di avere il diritto di partecipare liberamente alla competizione nella Sezione di Grado, e in questo mi trova perfettamente d'accordo, seguendo il principio democratico di libertà nelle scelte in specie locali.

Questo mi porta a riflettere sui tanti guai che la Sinistra si è procurata seguendo strade non chiare e non trasparenti, abbracciando l' applicazione di una gestione piramidale delle cose, dove tutto viene calato dall' alto.

Io penso ad una Sinistra con ideali ma senza ideologie, senza egemonie, priva di ortodossie definite a tavolino, curiosa, capace di rimodellarsi lungo il viaggio a seconda delle situazioni che incontra e delle priorità che decide di affrontare.

Che parta dai problemi per cercare le soluzioni e che non cerchi, a tavolino, la soluzione per tutti i problemi, che incroci la fatica dell'impegno personale, dell'assunzione di responsabilità che, svincolandosi dall'uso illiberale del pensare tutti con una testa sola, accetti il rischio dell'incertezza sugli esiti delle proprie azioni. 
Una Sinistra fatta di persone che guardano nella stessa direzione, senza pretendere che tutti percorrano lo stesso itinerario.

Umile, che parta dal basso, che cominci a dare segni di vita nei luoghi del buio sociale, che porti la politica ad aprire le coscienze.
Che costruisca il proprio centro nelle periferie ascoltando le parole e i silenzi di chi vi abita e spesso non ne è mai uscito.

Per fare tutto questo ci vogliono certamente idee e competenze, ma soprattutto una solida convinzione e tanto coraggio da parte di donne e uomini, anziani e ragazzi che abbiano voglia di mettersi in gioco, d’interpretare la politica come servizio, di cercare il risultato sapendo correre il rischio del fallimento. 

E di fare qualche capriola in salita.

HO sottoscritto liberamente l' appello di Elisabetta Medeot e spero che qualcuno la stia ad ascoltare.

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15 novembre, 2015

Sindaci e Comun



Palazzo del Conte di Grado

Non hanno mai avuto vita facile i Sindaci del nostro Comune, la vivacità (sic) della nostra gente, l' insofferenza alla prepotenza  di certuni, la piaggeria e la noncuranza della cosa pubblica di tantissimi altri (sempre pronti a salire sul carro del vincitore ma allo stesso tempo prontissimi a scendere)  porta a formare uno strano mix quasi sempre esplosivo che rende la vita difficile se non impossibile a chi governa.

"Le lotte intestine, che vorrebbero essere di partito, ma che in realtà non sono che personali, già da parecchio tempo inaspriscono il cuore dei benpensanti, infondono ancor più l' odio di parte..."

Titolava così un anonimo cronista del Corriere Friulano in 14/3/1905  e sottolineava una situazione a dir poco esplosiva: denunce, minacce, scontri anche fisici tra i sostenitori della Deputazione Comunale Liberale  e gli oppositori Cristiano Sociali. 
Gli scontri erano ormai giornalieri.

Stiamo parlando di Grado ad inizio secolo scorso, il 12 aprile 1905 il Podestà Giacomo Marchesini rassegnava le dimissioni.

Inizia così nel 1905 la lunga lista di Commissari che nel corso degli anni saranno più numerosi dei Sindaci e dei Podestà eletti dal popolo.

Il 22 aprile 1905 fu sciolto il Consiglio Comunale e nominato Commissario il Sig Giuseppe Gasser, un addetto del Capitanato Distrettuale di Capodistria.

Interessante a tal proposito è notare che con la nomina di Gasser a Commissario fu tolta al Comune, con apposito provvedimento Provinciale, nel 1907 anche l' Amministrazione dell' Azienda dei Bagni.

Biagio Marin in un suo celebre discorso in occasione del 80° anniversario della costituzione dell' Azienda nel 1972 tristemente riconosceva :

" ...a nessuno passò per la testa che quel provvedimento era stato provocato dall' inadeguatezza dell' Amministrazione Comunale".

Per la cronaca il Podestà successivo fu Giovanni Corbatto detto Sucon!

Mamuli semo sensa speransa!
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14 novembre, 2015

Le 7 Famegie







Nella foto Villa Matilde dove si riunivano per decidere le sorti di Grado

Siamo in un periodo pre-elettorale e come al solito, rispettando la nostra tradizione, ci sono un sacco di galli/galline che vogliono concorrere per il controllo del pollaio.

Vedrò più in là nel tempo la situazione che, per il momento, presenta ancora nubi di polvere sollevata dalle baruffe nelle varie case politiche. - cu tu candidato?, ma no sta fame rie -.

Ma un tempo le cose erano indiscutibilmente più semplici, tutto era stabilito dalla Famege de la Bala de Oro, una vera e propria casta dominante e maneggiona.

L' organizzazione della cosa pubblica nella Grado medievale ricalcava gli schemi di quella veneziana. 
Il Conte di Grado veniva eletto dal Doge ma il Consiglio e i maggiori incarichi di governo venivano ripartiti dalle 7  famege nobili, che si tramandavano i privilegi da padre in figlio. 

Tali famege per la nomina a Consigliere stabilirono delle regole, che in qualche modo sopravvivono tutt'oggi in certe Associazioni:

1- essere originario di Grado
2- essere figlio di matrimonio legittimo
3-poter vantare servigi resi dalla famegia alla Patria

Venivano dette le famege de la Bala de oro per il loro privilegio prevaricante nel voto del Consiglio.

I nomi di queste famege.
Corbatto, Degrassi, Marchesan, Maran, Marin, Burchio e Merlato.
Le ultime due sono estinte, ma ricordate  con l'intestazione di due calli.

Una casta vera e propria che ha governato nel bene e nel male  Grado a lungo.


Ovviamente, seguendo la classica inclinazione gradese dell' avversione verso chi governa, erano invise e guardate male dal popolume.
Le dicerie sul loro conto si sprecavano, non c'erano i mezzi moderni ma la lingua "embolica" saettava per le cube strette e buie.

Ovvio che  ricambiavano ampiamente con il disprezzo verso tutto quello che odorava di povero.
(qualche rimasuglio di questo atteggiamento olezza ancora in giro per le cube)
Menego (Picolo) Marchesini con il suo scrivere caustico dipinge così i loro diritti  di casta:

E ze una vergogna
 De i comandauri 
Che 'i sente e no 'i bada 
Cunsilgi e clamuri, 

Comò fra i litizi 
Co torto O razon 
Per quel Batistuta 
Che ze al Fossolon. 
* * * 
Qua, colpa ste suche 
Ze aval monarchia 
Che 'l pie in Muniçipio
 Va per denastia; 

Scrivan, podestae,
 Deputai ze un'union
E quisti ogni totolo 
Gode a so bon. 


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