Nella foto Villa Matilde dove si riunivano per decidere le sorti di Grado
Siamo in un periodo pre-elettorale e come al solito, rispettando la nostra tradizione, ci sono un sacco di galli/galline che vogliono concorrere per il controllo del pollaio.
Vedrò più in là nel tempo la situazione che, per il momento, presenta ancora nubi di polvere sollevata dalle baruffe nelle varie case politiche. - cu tu candidato?, ma no sta fame rie -.
Ma un tempo le cose erano indiscutibilmente più semplici, tutto era stabilito dalla Famege de la Bala de Oro, una vera e propria casta dominante e maneggiona.
L' organizzazione della cosa pubblica nella Grado medievale ricalcava gli schemi di quella veneziana.
Il Conte di Grado veniva eletto dal Doge ma il Consiglio e i maggiori incarichi di governo venivano ripartiti dalle 7 famege nobili, che si tramandavano i privilegi da padre in figlio.
Tali famege per la nomina a Consigliere stabilirono delle regole, che in qualche modo sopravvivono tutt'oggi in certe Associazioni:
1- essere originario di Grado
2- essere figlio di matrimonio legittimo
3-poter vantare servigi resi dalla famegia alla Patria
Venivano dette le famege de la Bala de oro per il loro privilegio prevaricante nel voto del Consiglio.
I nomi di queste famege.
Corbatto, Degrassi, Marchesan, Maran, Marin, Burchio e Merlato.
Le ultime due sono estinte, ma ricordate con l'intestazione di due calli.
Una casta vera e propria che ha governato nel bene e nel male Grado a lungo.
Ovviamente, seguendo la classica inclinazione gradese dell' avversione verso chi governa, erano invise e guardate male dal popolume.
Le dicerie sul loro conto si sprecavano, non c'erano i mezzi moderni ma la lingua "embolica" saettava per le cube strette e buie.
Ovvio che ricambiavano ampiamente con il disprezzo verso tutto quello che odorava di povero.
(qualche rimasuglio di questo atteggiamento olezza ancora in giro per le cube)
Menego (Picolo) Marchesini con il suo scrivere caustico dipinge così i loro diritti di casta:
E ze una vergogna
De i comandauri
Che 'i sente e no 'i bada
Cunsilgi e clamuri,
Comò fra i litizi
Co torto O razon
Per quel Batistuta
Che ze al Fossolon.
* * *
Qua, colpa ste suche
Ze aval monarchia
Che 'l pie in Muniçipio
Va per denastia;
Scrivan, podestae,
Deputai ze un'union
E quisti ogni totolo
Gode a so bon.
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