L' immagine è di Dino Facchinetti
Il tempo dei Santi e dei Morti è vicino e a Grado, come in tutte le comunità chiuse, quello dei morti è un argomento ricorrente nei discorsi dei grandi e finisce per coinvolgere anche l'attenzione dei bambini.
La prima consapevolezza dei Gradesi è sicuramente quella di non dimenticare i propri progenitori sacrificati nei secoli e i cui volti segnati dal dolore sembrano spuntare dal sottosuolo della storia in strànsito, nella processione tradizionale delle anime, dei morti, attorno alla stupenda basilica di Santa Maria delle Grazie, nella forte fede cristiana.
a tale proposito,vi propongo il racconto di Augusto Cesare Marocco tratto dalla sua ultima fatica libraria.
El strànsito
Leggenda gradese popolar religiosa
Brano tratto dal libro “Nel mio Nord Est” di Augusto C. Marocco, Europa Edizioni, Roma, 2017.
Si racconta di un ospite del passato, che dalla sua camera vedrà passare la processione gradese dei morti viventi.
La finestra della mia stanzetta in affitto, proprio davanti alla chiesa, guardava ai tre occhielli ciechi della facciata che ne ravvivano la sommità. E mentre spalancavo i battenti per curiosità e per disperdere un acre odor di muffa, la mia ospite, una donna in faccende, mi raccomandò di tenere ben chiuse di notte le imposte, che era il due di novembre e a mezzanotte passava il transito. Chiesi e seppi che il transito, pronunciato da lei el Strànsito con una s prolusiva e intensiva, era la processione dei morti, un corteo sacro che nessuno doveva né guardare né farsi vedere o sentire dagli oranti defunti in pietosa marcia. Solo pregare sottovoce, meglio soltanto con la mente, chiusi in casa sotto le coperte, ascoltando il rumore dei lenti passi sottostanti, il fruscio delle vesti rituali, il tintinnio dei turiboli. Profumi di incensi entravano dagli interstizi di cucinette e camerini da letto, miracolosi effluvi per le famiglie impaurite dai loro stessi morti, costipati poverini attraverso i secoli negli striminziti metri quadri dell’isola, specie attorno o dentro le chiese, interrati uno sopra l’altro, anche sottocasa. In mare non li potevano buttare in pasto a pesci e granchi mangerecci.
Ma quella notte, dalla finestra dell’ostello, io vidi per mera curiosità ciò che non avrei mai potuto vedere: una lunga processione che non c’era ma c’era, e si vedeva ma non doveva essere vista. A mezzanotte in punto avevo alzato con tremore il gancio di sicurezza degli scuri, tenendoli socchiusi per osservare l’esterno proibito come l’osserverebbe uno incredulo. Pensavo che non avrei visto assolutamente nulla. Ma poco dopo, senza pausa di attesa, si disserrò scricchiolando il gran portale della navata centrale di Santa Maria e ne uscì una croce astile retta da una figura in cotta rossa, poi il turno dei vescovi e patriarchi in solenni paramenti. Protetto dal baldacchino, era esposto il Santissimo tra le mani giunte del metropolita curvo, contrito e celato da un manto di raso ricoperto d’oro a grandi ricami fin sopra la testa. A seguire il coro maschile, muto, le donne di casa con lo scialle nero, silenziose anch’esse pur nelle preghiere all’unisono con i movimenti della bocca, altere in ciabatte da cucina, presenze vivissime del tempo senza tempo. Virilmente il popolo degli uomini su due file indiane, una sulla destra e una sulla sinistra con in mezzo uno stuolo di chierichetti in vestina nera e bianca, cadaverici, verdognoli, anoressici. Al primo volto di calle spariscono tutti. Nello slargo del campiello tornò la luna a segnare graficamente le ombre. Un break sacrosanto per me.
Ma dopo pochissimo, facendomi rabbrividire, rispuntò da un angolo la croce astile, e pian piano il corteo rientrò nella chiesa da cui era appena uscito per il suo giro, e mi scivolò dalla vista nel buio dell’aula sacra. Il gran portale si rinchiuse con un’eco di catenaccio all’interno. Sprangai ben bene la finestra anch’io e mi misi sotto le coperte con tutta la testa. Recitai preghiere a raffica, finché non mi addormentai. In camera, prima delle quiete, ci fu un fragoroso scricchiolio come uno strappo soprannaturale di rabbia. Domani un altro giorno. Me la cavai cosí, ma ero diventato uno che aveva visto: qualcuno del corteo avrà visto me?
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