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03 febbraio, 2018

Fiaba della presunzione


Cò gero picolo gno nona, per fame cala le ale a me che gero 'ndao in colegio a studià e ogni tanto fevo al superbo cò i mie amici de contrada, la me conteva una storia de un omo presuntuoso, che no se se la sia vera o no, ma la me feva capì che ne la vita no bisogna esagerà cò ninte.

C'era una volta in questo Paese di fiaba un uomo che aveva un' enorme opinione di se.
Non era una persona cattiva, ma aveva un ego talmente grande che lo copriva alla vista altrui. 
La gente guardava quel gigante e credeva si trattasse di lui.
All'inizio era bello e rassicurante nascondercisi dietro come fosse un'armatura. 
Ma nessuno riusciva a vederlo veramente là dietro e, cosa peggiore ancora, lui non riusciva a vedere nulla di quello che succedeva.
Ogni tanto lo sgonfiava, quell'ego, con una spillonata di acume intellettuale, per provare l'illusione di sentirsi umile.
Ma lui ricresceva nottetempo.
Sempre.
E sempre più grosso.
Era diventato talmente grosso, il suo ego, che non riusciva più nemmeno ad entrare nelle conversazioni altrui, e vi assisteva sconsolato e tronfio dall'esterno, urlando impettito i propri pareri come se importasse davvero a qualcuno di ascoltarli.
Una mattina si destò e lo vide troneggiare sopra lui, immenso come un dirigibile e altrettanto leggero, occupava tutto il cielo. 
Si accorse che stava decollando: il suo ego se ne stava andando! 
Lo prese all'improvviso l'inesprimibile terrore di rimanere lì da solo senza difese, piccolo e nudo di fronte a tutti. 
Allora gli si attaccò con tutto il suo peso cercando di tenerlo a terra, cercò disperatamente di dire qualcosa di acuto e pungente per forarlo e farlo sgonfiare, ma non gli veniva in mente nulla, nulla di nulla.
Allora si attaccò alla prima cosa che gli capitò tra le mani, la cima del campanile.
S' avvide con orrore cheil campanile si allungava  ed allargava, si allungava quasi staccandosi da terra e prese ad agitarsi ancora più freneticamente.
"Cosadevofarecosadevofarecosadevofare?" 
Erano alti ora, almeno una trentina di metri, e continuavano a salire. 
Esausto, rimase a fissare la gigantesca ombra che correva rapida tra la città e i dossi e i canali, mutando continuamente forma.
Per consolarsi pensò "Almeno vedrò le stelle!  L'ho sempre desiderato!" poi guardò l'immensità del firmamento e pianse un pochino mentre il sopravvenire delle vertigini gli imponeva i consueti conati.
Era quasi l'alba quando diventarono un puntolino lassù, in mezzo a molti altri e sparirono completamente alla vista.
Ehi!, gridarono dal paese, cò tu son rivao mola al campanil che al ne ocore!

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