L' immagine è dell' archivio Marocco
Questo è un momento storico di abbondanza e per sottolinearlo vengono pubblicati libri, anche bellissimi come l' ultimo di Nico Gaddi, sulla cucina locale che presenta dei piatti straordinari tratti dalla nostra tradizione, ma un tempo l' indigenza, se non la fame, portava i nostri vecchi a vedere il cibo con occhi adoranti e i termini che usavano erano poetici.
In un paese dove la fame ha fatto da protagonista per generazioni, i termini che identificano il cibo devono per forza essere poetici, ed è così a Grado dove la terminologia gastronomica messa di seguito sembra sia poesia.
Carussi e bussolai, bone grassie (ciambelle della cresima), pan co l'ua, pan de fighi, pan consao o co l'ogio, pinse e fugasse, frisse (ciccioli di maiale fritti) sigari de bon-bon, perussoli, mestroculi e stiopetini, legno dolse, carobe, sucoro de Gurissia (liquirizia), crustuli e fritole, panadela, mesta (la sbobba del casoner- olio, pepe, farina e fagioli qualche frissa e sardele salae), risi co l'ogio, bisi sichi col pesto, zuf (farina di granturco bollita con acqua e latte) perseghi, nespuli e sorbuli co la polenta, pesse salao soto fraco, sarduni e renghe, bacalao, datuli e fighi, peverasse, caparossuli, sgarsenei e cape de vale, scanavesse e giarissi, e buriti de duti i coluri.
Questi, in parte e alla rinfusa i termini della tradizione culinaria da non dimenticare.
Dopo è arrivata la Ristorazione e tutto si è appiattito e globalizzato
1 commento:
Me ricordo al pesse salao (sievuli o spari): lesso có le sevóle lesse, frito có le verse. Ma xè passao massa ani, pochi riva a capì...
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