In foto un avannotto di Danio Rerio o pesce zebra
Certo che i tempi sono cambiati, un tempo (sembra l'inizio di una parabola) si guardava alle forniture del locale mercato ittico per scrivere il menù del giorno, ora il menù in un ristorante lo si programma settimanalmente.
Il brutto tempo, la stagionalità, parole obsolete sostituite da globalità e surgelazione.
Mi domando se la gente sa e conosce quello che mangia.
Scriveva il Platina (Bartolomeo Sacchi) grande umanista e divulgatore del 1400 nel suo De honesta voluptate et valetudine descrivendo le ricette del Maestro Martino da Como il più grande cuoco del periodo (ufficialmente cuoco di Patriarchi e Papi) e l' unico che si prende la briga di scrivere in lingua volgare le sue ricette (Libro de Arte Coquinaria), a proposito del polipo :
il polipo è così chiamato perché ha molti piedi, mentre la coda è bifida e aguzza e gli serve per la riproduzione.
E c'è da chiedersi se divulgatori di quel livello avessero mai visto quello che descrivevano.
E' quello che sta capitando oggi, dietro alle complicate descrizioni di piatti offerti nei ristoranti più famosi, quanta consapevolezza c'è?
E' difficile per chi non è espressamente del settore distinguere oggigiorno con sicurezza una capesanta nostrana (pecten jacobeus) da una surgelata atlantica (pecten maximum), quanti sanno che sono specie diverse anche se dello stesso ceppo?
Distinguere una capelonga de deo (ensis minor) da una cappa de fero (solen marginatus) una schila da un gambero, conoscere le varie specie di cefali, una vongola verace nostrana da una verace filippina, ormai adattata ai nostri lidi ma profondamente diversa sotto l'aspetto qualitativo delle carni e soprattutto del prezzo di vendita.
Distinguere un' ostrica piatta da una portoghese comodamente confuse tra di loro per facilitare il commercio ma diversissime per gusto, storia, difficoltà di allevamento e naturalmente costi.
La cultura dell' offerta territoriale è l'unica consigliabile, per non far figure da montanari che non sanno nulla di pesce.
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