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21 settembre, 2018

Vacanza? Un' eccezione


Un   rito è un vero e proprio rito, la fine stagione è una specie di spartiacque di vita.

Sul viale, fra le vecchiette che prendono il gelato al nipotino e per sé ordinano uno spritz, si segna il rito di passaggio, il momento di svolta in cui la spiaggia viene abbandonata dalle torme di famigliole e di ragazzini patiti di abbronzatura. 

Intanto, comincia l’esodo dalle capanne, che è cosa lunga ed intricata, un vero trasloco, perché in tre mesi la quantità di cianfrusaglie che si sono ammonticchiate è impressionante, non ha fine, pare che si riproducano per clonazione.

Le cose che riporti indietro dalla spiaggia hanno un’aria spaesata. 
Entrano in casa come se non fosse loro, una dimensione avversa in cui non hanno un posto proprio, un senso. 
Assieme ai granelli di sabbia, si portano addosso la tristezza di chi sa che, dopo un frettoloso passaggio in lavatrice, l' attende mesi nel fondo di un armadio buio, nell’angolo di un cassetto dimenticato.

Non li vuoi vedere più fino a fine maggio, quei costumi colorati, quegli asciugamani su cui ti sei steso fino al giorno prima:  fan venire il magone. 
Rappresentano la vacanza che non c’è più, i giorni di sole, il mare, il tempo senza impegni, i libri letti mentre le onde ti carezzano i piedi, i bagni improvvisi per stemperare il calore, e non ci sarà ancora per un intero grigio inverno fatto di lavoro, di impegni, di routine.

Le cose che porti a casa dal mare le odi per il resto del tempo che non è estate, perché con il loro esistere ti sbattono in faccia questa suprema ingiustizia, incomprensibile alla logica: 

che la vacanza, nella nostra vita, è solo l’eccezione.


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