Grado e la marea
C’è qualcosa di ancestrale e terribile nell’acqua. Non ci pensiamo mai. Il grande terrore è di solito il fuoco, la fiamma che divora e uccide. L’acqua è la vita, il blu che distende ed abbraccia, la madre che disseta.
Invece l’acqua, come una matrigna crudele, è colei che ti avvinghia e ti toglie per sempre il respiro, l’onda che ti travolge e ti annega, ti abbraccia e ti trascina a fondo, la morte silenziosa e spietata.
Un gradese capisce a fondo la paura dell’acqua. Per i turisti è uno spettacolo la marea che sale.
Ma per il gradese è qualcosa di assieme familiare e inquietante, un’ansia che si cerca di nascondere o di anestetizzare.
Grado non è una città sul mare. Le città di mare hanno confini precisi fra la terra e l’acqua. Ci vivono accanto, sono simbiotici con il mare, ma lui è lì e loro sono altro.
Grado no. Grado non è sull’acqua. Grado è acqua. Non c’è differenza, non c’è distanza. Ci è immersa dentro, sempre, come un’alga, come una medusa. Grado non ha terra, il suo spazio è la Laguna, le sue case sono pontili fissati su pali. Laddove altri hanno fondamenta di edifici e roccia, lei ha sabbia e acqua, appunto. Non ha consistenza, galleggia.
È il confine che manca. L’ansia viene da lì. Dalla consapevolezza che ciò che all’acqua si è strappato con l’inganno l’acqua lo potrebbe rivolere indietro.
La marea non è uno scoppio d’ira, non è uno sgarbo, è il lento insinuarsi dell’acqua in uno spazio suo. E il gradese la guarda con il groppo alla gola con cui il debitore vede lo strozzino presentarsi alla sua porta per reclamare un debito.
E se non si ritirasse più? Se decidesse di riprendersi quello che le appartiene, la città, lo spazio, di rivolere ciò che è suo? Se volesse restare, tenersi tutto? Che le si potrebbe dire mai? Hai torto? Non puoi?
Grado è città in cui gli abitanti sono ospiti di una padrona di casa eterna e capricciosa. Una divinità generosa, ma anche piena di bizze. Che sale sei ore, ogni giorno, e sei ore cala, con il suo ritmo infinito. Ma è pur sempre una divinità, e come tutti gli dei è altera ed imperscrutabile.
E allora, quando sale la marea e la Dea si manifesta e riprende possesso della sua città, gli abitanti per un attimo trattengono il respiro, pregando che non sia l’ultima volta. Pregando che lei, magnanima, alla fine restituisca loro le case, i campielli, le calli, che sono roba sua e non loro. Che si ritiri, restituendo loro Grado e doni a tutti il privilegio di viverci un giorno in più.
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