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14 giugno, 2021

gravo mio di sebastiano scaramuzza

FOTOGRAFIE,RICORDI..RICETTE E CHIACCHIERE TRA DI NOI...I FAN DEI GRAISANI è UNA PANORAMICA DELLA CITTA DI GRADO..MA ANCHE UN APERTURA A CHI NON … Altro...

Un viaggio volando verso lidi migliori, due ali o una barca con cui affrontarlo, un pontile dove approdare e riposarsi quando si è stanchi, un cielo infinito e bellissimo che invoglia alla speranza ed alla solarità!!!


Il vento ha un potere straordinario... può sollevarti verso l'alto o abbatterti a terra, con impeto, rabbia, ma anche leggerezza e dolcezza...dipende dallo stato d'animo suo e nostro...in ogni caso è il motore che fa muovere le onde del mare, le foglie… Altro...

Continuando a rappresentare il dialetto gradese antico, degli inizi secolo 1900, quello che ci è pervenuto in forma scritta  prima di Biagio Marin; letto nel post precedente il Marchesini con le sue  forme dialettali popolane di "Grado Antigo", vediamo  il modo  diverso di presentare Grado, quello del Professor Sebastiano Scaramuzza.

Il dialetto che usa per scrivere è più rotondo meno brusco, la cultura del professore trasuda dalle sue parole, ma la passione per il proprio Paese è simile e fortissima è la nostalgia dell' emigrante suo malgrado, perchè il Professore è stato costretto ad emigrare ma il suo Paese è rimasto profondamente nel suo cuore:

Gravo Mio


Quel che vevo intè 'l cuor mè no he possuo,

Su le tò rive povere, otigni;

Mischin, senza conforti,me ha scugnuo

Da le are tove, da i to rii partì.

Ramingando pel mondo,me he veguo

Maravege che un oltro no el pol dì

De 've, intra Buso e Sdoba, cognossùo,

Se co tu l'ha passao duti i so di.

E pur,e pur! o dolze Gravo mio,

Te porto in mezzo a l'anema co Mè

E sempre, Gravo mio, te portarè.

In brazo a tu son nato; e'l desiderio

De la sò cuna (cussi el vol Idio)

No se distùa che drento el zimisterio! 

biagio marin

e

al xe uno paese belo:

 tra cielo e mar pare pare un castelo in aria;

torno a d’ elo  solo stele, i fa la luminaria.


noi siamo stati, ricorda ricorda marin per secoli e secoli…. un pivello nido di pescatori sperduti su un lido di spiaggia, in mezzo ad un vasto estuario. per arrivarci bisognava avere una lunga esperienza dei corsi dell’ acqua, del ritmo del mare, conoscere l’insidia delle velme e dei fondali.


laggiù, tra cielo e mare, viveva una razza di gente diversa, che parlava altro linguaggio, e viveva del mare, sul mare, di arti estranea quelle dei contadini. là non vi erano campi, non si aprivano solchi, non si seminava, non si mieteva il grano

neanche alberi si scorgevano intorno a quelle case arse dai secoli.


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