Il silenzio primordiale delle albe sulla laguna, il silenzio dei boschi arrampicati sulle montagne, il silenzio che esiste prima della civiltà, o almeno dell’urbanizzazione. Il silenzio e basta. Dieci minuti di silenzio.
Il porto Tecnicamente non ha niente di naturale, è un ambiente ricostruito dall’uomo come un set fotografico, questa cosa strana che noi chiamiamo “natura” qualcosa che non lo è.
Ma lì, nel porto, all’ora di pranzo c’era quello che mi serviva. Mi sono seduto sulla sponda del molo e ho ascoltato quel particolare silenzio, il silenzio dell’acqua.
Non è un suono, è un respiro. L’eco di qualcosa di ancestrale e lontano. È un ritmo, più che una voce. Entra nelle orecchie e si spande nel corpo come un’onda. E placa. Placa tutto. Come se per un attimo ti disfacessi dal di dentro, nel nulla. Si potrebbe chiamare rivelazione, è un momento infinito in cui ti sembra di capirti, o di ritrovarti, o di perderti, tutto assieme.
C’eravamo solo io, la sponda e l’acqua, un leggero sciabordio, quasi muto. Ma era il tutto. Ed era perfetto così. Il silenzio dell’acqua che rigenera, pulisce e poi scivola via, lasciandoti nuova.
Ho respirato. Ho salutato il porto, mi sono girato e sono andato via.
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