Le foglie cadono, cadono come da lungi,
come se giardini lontani sfiorissero nei cieli.
Cadono con gesto di rifiuto. Rilke
E' un immagine un po triste il finire della stagione, ma è un passaggio necessario per il risveglio primaverile.
I turisti nordici, sulla battigia, con il loro improbabile abbigliamento (calzoncini corti, sandali e calzini, oppure pantaloni di tela lunghi ma arrotolati per mettere i piedi in acqua), guardano perplessi un mare che sentono più vicino al loro:
perché è ancora caldo, sì, ma ingrigito, con una punta di broncio.
Meno Adriatico e più simile a quello che conoscono, insomma quasi familiare.
Qualche ragazza, stesa sul lettino, rabbrividisce un poco alla brezza, si raggomitola nell’asciugamano, decisa però a resistere fino all’ultimo, come soldati che non si arrendono nella terribile battaglia della tintarella.
Si spiano poi, raffrontandosi con le amiche, le more soddisfatte e tronfie, le bionde deluse che anche quest’anno non ce la faranno a superare il loro limite epidermico, perché ormai il tempo è passato e l’abbronzatura non sarà più scura di così.
I pochi morosi adolescenti si baciano, avvinghiati sulle sdraio, ma con meno foga di quella che avevano solo poche settimane fa, perché sono giovani, la vita è lunga e il grande amore che è lì accanto sembra già qualcosa di passato, una foto sbiadita per l’album dei ricordi.
E quei pochi rimasti passano tutti sul viale, e i mozziconi di albero muti guardano tutto quel via vai, lo vedono da sempre lo vedranno ancora e non se ne lasciano sfiorare.
Perché Grado è abituata alle onde che passano e poi tornano e poi vanno via, e siano di marea o di gente non fa differenza.
Grado aspetta, le guarda e resta là.
E' l'autunno, che bellezza, tempo di riposo.
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