Io credo che bisognerebbe insegnare alla gente a perdere tempo, a non aver paura del vuoto.
A capire che le giornate non sono sacchi da riempire, e che non si riscuote un premio se ci cacci dentro di tutto e di più.
Che il tempo è come la valigia, se c’è dentro troppa roba finisci col non trovare più quella che ti serve, e che bisogna vincere la bulimia degli impegni perché e fa male.
Se ci dessero più tempo vuoto, forse saremmo tutti più creativi e renderemmo di più.
La fantasia è bastarda, non vuole legami e non vuole paletti, o come una bambina capricciosa punta i piedi e non si muove più.
Ditelo a chi farnetica e pontifica di efficienza sul posto di lavoro, e crede che per aumentarla sia necessario spremere chi c’è come un limone, ossessionandolo di scadenze, e di monte ore che si accumula, volendolo sempre connesso, e sempre disponibile alla chiamata, intossicandolo di cose da fare e esaltando chi ne è intossicato.
Ditelo a chi, anche fuori del lavoro, si ingegna di occupare ogni singolo attimo con qualcosa da fare, da vedere, da seguire.
Concediamoci tempo, prendiamocelo.
Impariamo a lasciare che il cervello vada per i fatti suoi senza obblighi, anche si annoi un po’.
Lasciamolo ciondolare come un bambino che scopre il mondo per caso. Il cervello è così, un ragazzino curioso che vuole trovare la sua strada.
Se lo ingabbiamo in un itinerario già fatto e organizzato magari arriva alla meta, ma come il turista di un pacchetto organizzato, di quelli che hanno visto tutto senza capire nulla, portano a casa valanghe di foto uguali fatte nei medesimi posti in cui vanno tutti, mangiano quello che potrebbero mangiare anche a casa, segnano nell’agendina i posti come le tacche di una raccolta punti inutile e faticosa, e il viaggio, in fondo, non gli serve a granché.
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