Avanzando lungo la spiaggia, vedi una madre serenamente abbandonata su una sdraio e ogni tanto da una occhiata distratta ai due pupetti quattrenni, che giocano con secchiello e paletta e, sul bagnasciuga, guardano i granchiolini.
«Mamma, mamma!
Varda, ‘sti gransi che che i fa! I zè un sora de che l’oltro! Fa il piccolo, scandalizzato.
«Ihh, co longa che tu la fa… te he spiegao che i zè marì e mugér e i zè drio dasse i basitti!»
«Ma no, mama! No i pol esser marì e mugèr! Zè do masti co ‘na femena in mezo!»
E la madre, senza scomporsi:
«E alora?, beata la femena!»
Per rimarcare da quante stagioni tutto questo succede voglio ritornare agli albori turistici nel 1854, quando la Grado turistica muoveva i primi passi ed emetteva i primi vagiti sotto forma di regole ed ordinanze del Podestà di allora.
In una Grado che, agli inizi del turismo balneare, si muoveva in fretta sotto la spinta e le visioni dei "foresti" che percepivano le potenzialità del Paese e costruivano a più non posso, già allora sempre foresti, stranamente la balneabilità, che pure era chiaro fosse una componente essenziale dell'offerta turistica, fu pensata e mantenuta dalle origini, intorno al 1854, pubblica non privata.
Una delle ragioni, oltre al rischio economico, fu la bigotta moralità del tempo chevietava il bagno all'aperto in promiscuità di maschi e femmine.
Il Podestà di Grado aveva emesso ordinanza di divieto agli uomini anche di semplicemente avvicinarsi alla diga prospiciente al Bagno delle Donne che era riservato.
Fare il bagno all'aperto era considerato pericoloso per la moralità pubblica e tale divieto rimase a difesa dei costumi dell'epoca sino ai primi '900.A tale proposito le cronache riportano che Ippolito Nievo, beccato in fallo, scrive alla madre di aver ricevuto una multa nel 1856 perchè, contro l'ordinanza, avrebbe passeggiato lungo la spiaggia riservata alle donne e subito denunciato da una signora per offesa alla sua pudicizia.
Mo Dio co beli!
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