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09 settembre, 2013

Storia dell' Ostricoltura a Grado

In questi giorni, tra i filari dei "pedoci" che devo passare uno ad uno per manutenzione delle corde e dei fusti di sostegno, ho notato, in certi punti della costiera triestina, un' accumulo naturale di seme di ostrica piatta come non vedevo da anni.

Questo mi ha riportato indietro con gli anni, io ho cominciato la prima attività come ostricoltore, e al pregresso storico dell'allevamento dell' ostrica a Grado:

A Grado, i bassifondi marini, insidiati dai marosi, erano difesi dai banchi e le acque venivano arricchite da sorgenti.
Verso l’esterno della laguna esisteva un banco naturale di ostriche madri, rispettato dai pescatori  con le reti a strascico, i quali evitavano così dei danni ai loro attrezzi.
Gli embrioni, immessi dalle ostriche madri durante la primavera, l’estate e in parte anche in autunno, scorrevano con le correnti di marea lungo la costa gradese per attaccarsi, grazie alla scarsa profondità dell’acqua, su conchiglie di altri molluschi morti. Qui le ostriche erano piccole con gusci sottili e regolari: era questo il tipo di “Ostrea edulis” che più si avvicinava agli invidiati molluschi coltivati sulle sponde dell’Atlantico.

Alcuni vallicoltori facevano raccogliere le piccole ostriche lungo i bassifondi della spiaggia lagunare, immettendole, poi, nelle loro valli per l’allevamento, ma il prodotto ottenuto era magro e di sapore amaro e trovava spaccio, per pochi soldi al pezzo, solo nelle vicine borgate friulane.

Migliaia di ostrichine finivano poi all’estero:
i pescatori gradesi usavano infatti raccoglierle e venderle a degli imprenditori italiani che praticavano l’allevamento nelle valli dell’estuario veneto.

A Grado, un primo allevamento razionale delle ostriche fu tentato tra il 1862 ed il 1863 da Riccardo d’ Erco. 
In seguito a delle ricerche e grazie ai finanziamenti concessi dall’i.r. Governo e dalla Camera di Commercio di Trieste, D’Erco fondò in località Barena Campagnola, uno stabilimento sul modello di quelli francesi di Regneville, chiudendolo tutt’attorno con un argine di due metri.
Lo stabilimento occupava una superficie di sei iugeri, cioè di circa 15.000 metri quadrati:
due chiaviche davano acqua ad un canale principale, dal quale partivano dei canali secondari al servizio di 57 bacini chiamati “claires”, della profondità di circa 60 centimetri.

Come collettori d’Erco usò delle tavelle bagnate di calce mista sabbia, disposte a gradinata.

La Società Austriaca di Pesca e Piscicoltura fece collocare 5000 tegole spalmate di calce per la raccolta di piccole ostriche che, in seguito, sarebbero state distribuite a svariati ostricoltori per l’allevamento.

Circa undici mesi dopo la posa si passò alla raccolta.
Erano attecchite ben 82.000 ostrichine che con cura furono staccate, con apposite tenaglie in acciaio temperato, da sei volonterose donne.

Ma i risultati economici 
furono deludenti e lo stabilimento fu presto abbandonato.

Nel 1970 arrivammo noi con la Compagnia Triestina di Ostricoltura per rilanciare l'idea, ma questa è un' altra storia. 
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