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13 ottobre, 2014

La fotografia è pazza o savia?

Troppe le immagini. È insopportabile, oggi, questa vita di immagini senza più immaginazione. Che non sa più sognare la realtà.
L' uso smodato e compulsivo con cui si fa fotografia, in specie digitale, al giorno d' oggi è stato motivo di indagine tra esperti, queste a grandi linee le conclusioni:
La fotografia è pazza o savia?
«è savia se il suo realismo resta relativo… è pazza se questo realismo è assoluto e, per così dire, originale».
È quello che sta accadendo oggi: la fotografia è realismo assoluto, ed è tempo, ed è anche luogo. 
Gli smartphone permettono di localizzare il luogo della foto, il momento in cui è stata scattata. 
Un software come face.com arriva persino a leggere se siamo tristi o felici, analizzando le linee del volto. Instagram porta a un florilegio di scatti che non sono più fotografia, ma sono vita: ci sono quelli che postano la tavola imbandita, e quelli che postano un paio di scarpe in una vetrina. Il significato della fotografia non è più eternizzare un momento importante (la foto del matrimonio, o il battesimo del bambino) ma è portare tutti gli attimi dell’esistenza, anche quelli che non hanno un particolare significato, in una dimensione eterna. Fossilizzare la vita appena si compie, addirittura prima che si compia.
È una mutazione psicologica che i social network incoraggiano, al punto da spenderci miliardi di dollari in investimenti. E ormai lo facciamo tutti. 
Franz Kafka diceva: «si fotografano delle cose per allontanarle dalla propria mente».
 Aveva ragione, ed è sempre più così. E se prima la fotografia era la vita quando assume un forte significato emotivo e simbolico. Ora la foto diventa qualcosa che prende significato in quanto condivisione, e non come scatto in sé. Prende significato proprio per un vuoto di senso di molte cose che facciamo. Lo scatto un tempo era sguardo su qualcosa. Ora è sguardo rovesciato. 
Io scatto e condivido la foto non per raccontarvi cosa ho messo a fuoco, ma per chiedere agli altri chi sono.
Dicevano  che la fotografia fosse senza avvenire.
 È accaduto il contrario.
 L’avvenire della fotografia è proprio nel fatto che l’abbiamo capovolta. 
Anziché cercare l’identità degli altri attraverso le immagini, abbiamo finito per mettere in primo piano la nostra di immagine.
I selfie ridondanti sono la riprova di ciò!
da R. Cotroneo

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1 commento:

rm ha detto...

Grazie Ennio, mi hai chiarito un concetto: ho sempre pensato che fotografare compulsivamente non permette di memorizzare con affetto. E si trattava ancora della vecchia fotografia! Io ho preferito osservare e stampare nella memoria gesti e suoni dei miei figli quando erano piccoli. Montagne di foto finiscono in soffitta e nessuno le guarderà mai più! Ciao.