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19 febbraio, 2023

DA GRADO A SEMPLICE PIEVE

Gli anni dopo il Patriarcato


Dopo la soppressione del titolo vescovile (1451), Grado diventa una semplice pieve del patriarcato di Venezia, alla cui guida il Papa Niccolò V aveva eletto Lorenzo, della famiglia Zustinian o Giustiniani, una delle più nobili e in vista della Repubblica.

Nonostante le sue origini, egli aveva scelto una vita da mendicante e non disdegnava di chiedere l'elemosina persino alle porte del suo palazzo, con grande scandalo della sua famiglia, che lo aveva respinto dopo la coraggiosa scelta di aderire allo spirito del riformismo cattolico così fervido nella Venezia del Quattrocento.

Il suo modo di predicare, di scrivere e di agire era affascinante e coinvolgente nella sua semplicità e il suo ideale era la vita monastica e comunitaria; perciò faticò ad accettare dal Papa Eugenio IV la nomina a Vescovo di Castello, l'isoletta fortificata della laguna veneta scelta a residenza vescovile, l'antica Olivolo.

Dopo la soppressione dei patriarcati di Grado e Castello, divenne quindi il primo Patriarca di Venezia, venerato dal popolo come un santo e canonizzato nel 1690 dal concittadino Papa Alessandro VIII.


I primi anni del suo patriarcato corrispondono ad un periodo difficile per la Serenissima, minacciata dai Turchi; inoltre, la nuova giurisdizione ecclesiastica, molto più vasta, richiede al nuovo presule e ai suoi successori notevoli sforzi organizzativi e amministrativi tali imporre una gestione provvisoria soprattutto dei territori più decentrati e degli affari meno urgenti:

per queste ragioni bisogna attendere quasi vent'anni e arrivare al 1470 perché a Grado venga nominato il primo pievano, Giovanni Aspasio.


Aspetti della vita socio-economica, civile, religiosa e morale della comunità gradese in quel periodo:


Dal punto di vista socio-economico la popolazione era per lo più composta da pescatori e da trasportatori di sabbia, che commerciavano con l'entroterra friulano e con Trieste, ma soprattutto con Venezia.

Le altre attività economiche erano legate alla produzione e alla distribuzione dei beni di prima necessità o ai servizi indispensabili: vi erano contadini che producevano e vendevano ortaggi e frutta, coltivati nelle vaste aree agricole ancora estese al di fuori delle mura cittadine, artigiani e commercianti.

Il livello di istruzione di tutti questi cives era molto basso e la quasi totalità della popolazione continuava a rimanere analfabeta.


Le misere casse comunali riuscivano a malapena ad assicurare alla popolazione le sole esigenze primarie e quotidiane, mentre si doveva ricorrere, con molte insistenze talvolta secolari, all'aiuto della Repubblica per le opere e gli interventi di maggior impegno finanziario e straordinari, quali la ricostruzione delle mura, il risanamento degli edifici pubblici, civili e religiosi, il rifacimento delle strutture di protezione dell'abitato e di difesa militare del territorio.


Si trattava quindi di una comunità povera, con un Comune e una parrocchia poveri, che costringevano spesso i loro responsabili a procurarsi da vivere con altre attività, come la pesca, e i patriarchi in visita a distribuire pani e denaro al popolo affamato e bisognoso.


Mentre i reggitori del Comune erano veneti, i sacerdoti della comunità erano quasi sempre indigeni, spesso appartenenti alle famiglie più in vista, che ne imponevano l'elezione.


La lettura e l'analisi dei documenti confermano la precarietà del tessuto sociale e le difficoltà della vita associata, e testimoniano frequenti contese e anche risse furibonde, che potevano degenerare talvolta in delitti, che l'impotenza dell'autorità locale spesso non riusciva a prevenire né a reprimere.


In questo clima sociale e civile, un gravissimo e preoccupante problema della città era quello della sicurezza pubblica e dell'incolumità degli abitanti, per la presenza di persone poco raccomandabili e sediziose, che giravano armate per l'isola, minacciando e terrorizzando i cittadini di giorno e disturbando la quiete pubblica nelle buie notti.


Oltre ai reati contro la persona, vi erano quelli contro il patrimonio: i furti nelle botteghe, negli orti, nei cortili e nei pascoli, dettati sovente dallo stato di estrema indigenza di alcuni, erano quotidiani nelle aree del territorio comunale situate fuori delle mura, specialmente verso meridione.


Il quadro generale della vita collettiva non è sempre, però, contrassegnato da tinte fosche ed equivoche: si tratta, nei casi estremi, di eccezioni, che sono comunque il frutto di una realtà variegata ed in lenta evoluzione, che porterà verso la fine del XVII e l'inizio del XVIII secolo ad un graduale miglioramento delle condizioni generali della vita civile e religiosa.

 


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