Per restare nel clima cupo del senso di inutilità che a volte si prova a vivere in questi tempi così incerti vedo un pò di ragionare su degli stereotipi che vanno più in voga:
L' uso e l'abuso del turpiloquio è ormai generalizzato e sempre più utilizzato dai media televisivi, per far crescere il livello di attenzione, e dai giovani la cui espressività è ridotta ai minimi termini e viene completata dalle parolacce.
La Parolaccia dilagante mi preoccupa non perché sia oscena, ma perché è banale e rivela una paurosa involuzione della lingua.
Se le parolacce si aggiungessero a un lessico ricco e fantasioso, non mi darebbero eccessivo fastidio.
Il problema è che ogni parolaccia dà la netta impressione di prendere il posto di concetti, ragionamenti, frasi che comporterebbero sapienza e fatica.
Le parolacce sono comode, segno di pigrizia più che di maleducazione, di ignoranza più che di trasgressione.
Un' altra cosa molto fastidiosa è la predominante informalità:
ci si dà del tu, ci si veste a prescindere dalle situazioni, ci abbracciamo e ci baciamo anche se la conoscenza reciproca è fresca di qualche ora, e naturalmente parliamo anche come ci pare.
Credo che l’ informalità contemporanea sia una reazione quasi fisiologica al formalismo pre 68.
Seppure fastidiosa e spesso fuori luogo, l’ informalità dei modi è un passaggio quasi obbligatorio da una società formalista ed escludente ad una società democratica e inclusiva quale vuole essere la nostra.
La vivo come una faticosa fase di passaggio: un nuovo ordine (e una nuova educazione, e nuove buone maniere) è auspicabile, e tutti o quasi lo stiamo aspettando.
Ogni mutamento di costumi andrebbe giudicato non per la sua (presunta) immoralità, o perché differisce da precedenti ortodossie, ma per quanto aggiunge (o toglie) alla comunità, per quanto la arricchisce o la impoverisce.
Ecco questo penso, non mi pare siano grandi mutamenti, Ostia! ooopps...scappata.
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